religione

Il Papa ai chirurghi: non assecondate la volontà di morte del malato

Alessandro Di Bussolo Credit Foto - Adnkronos
Pubblicato il 20-09-2019

“Si può e si deve respingere la tentazione di usare la medicina per assecondare” la volontà di morte di un malato, “fornendo assistenza al suicidio o causandone la morte con l’eutanasia”. Non si tratta infatti scelte legate alla libertà del malato, ma dettate dalla possibilità di “scartare” chi soffre, o dalla “falsa compassione di fronte alla richiesta di essere aiutati ad anticipare la morte”. Papa Francesco ribadisce così a 350 chirurghi e odontoiatri italiani, ricevuti in udienza in Sala Clementina, la posizione della Chiesa contraria all’eutanasia e al suicidio assistito, citando anche la Nuova Carta per gli operatori sanitari, pubblicata nel febbraio 2017 dal Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute, quando sottolinea che “non esiste un diritto a disporre arbitrariamente della propria vita, per cui nessun medico può farsi tutore esecutivo di un diritto inesistente”.

Salutando i rappresentanti della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, il Papa ricorda il confronto in atto nell’associazione, negli ultimi tre anni, “su come esercitare al meglio” la professione medica in un contesto sociale profondamente cambiato, per “interpretare le necessità delle persone e per offrire loro, insieme con le competenze professionali, anche un buon rapporto umano”.

La medicina, per definizione, ribadisce Francesco, “è servizio alla vita umana”, e quindi è irrinunciabile il “riferimento alla persona nella sua integrità spirituale e materiale, nella sua dimensione individuale e sociale”.

La medicina è a servizio dell’uomo, di tutto l’uomo, di ogni uomo. E voi medici siete convinti di questa verità sulla scorta di una lunghissima tradizione, che risale alle stesse intuizioni ippocratiche; ed è proprio da tale convinzione che scaturiscono le vostre giuste preoccupazioni per le insidie a cui è esposta la medicina odierna.

La malattia, prosegue il Pontefice, “è più di un fatto clinico”, è sempre “la condizione di una persona, il malato”, e i medici devono relazionarsi col paziente “con questa visione integralmente umana”. Devono quindi considerare “la sua singolarità di persona che ha una malattia, e non solo il caso di quale malattia ha quel paziente”.

Si tratta per i medici di possedere, insieme alla dovuta competenza tecnico-professionale, un codice di valori e di significati con cui dare senso alla malattia e al proprio lavoro e fare di ogni singolo caso clinico un incontro umano.

Perciò, chiarisce ancora Papa Francesco “di fronte a qualsiasi cambiamento della medicina e della società”, è importante che il medico “non perda di vista la singolarità di ogni malato, con la sua dignità e la sua fragilità. Un uomo o una donna da accompagnare con coscienza, con intelligenza e cuore, specialmente nelle situazioni più gravi”.

Con questo atteggiamento si può e si deve respingere la tentazione – indotta anche da mutamenti legislativi – di usare la medicina per assecondare una possibile volontà di morte del malato, fornendo assistenza al suicidio o causandone direttamente la morte con l’eutanasia. Si tratta di strade sbrigative di fronte a scelte che non sono, come potrebbero sembrare, espressione di libertà della persona, quando includono lo scarto del malato come possibilità, o falsa compassione di fronte alla richiesta di essere aiutati ad anticipare la morte.

E qui il Papa cita la Nuova Carta per gli Operatori Sanitari del 2017, quando ribadisce, al numero 169, che: “Non esiste un diritto a disporre arbitrariamente della propria vita, per cui nessun medico può farsi tutore esecutivo di un diritto inesistente”. Francesco ricorda in conclusione quanto scritto da san Giovanni Paolo II nell’ “Evangelium vitae”, quando osserva che la responsabilità degli operatori sanitari “è oggi enormemente accresciuta e trova la sua ispirazione più profonda e il suo sostegno più forte proprio nell’intrinseca e imprescindibile dimensione etica della professione sanitaria”, come già riconosceva il giuramento di Ippocrate, “secondo il quale ad ogni medico è chiesto di impegnarsi per il rispetto assoluto della vita umana e della sua sacralità”.

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