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Nove anni dopo, il sogno di padre Dall’Oglio cammina

Fabio Colagrande e Alessandro Di Bussolo Ansa
Pubblicato il 29-07-2022

Un libro di Francesca Peliti

Nove anni di assenza forzata del fondatore padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita rapito a Raqqa, in Siria, il 29 luglio 2013, non hanno fiaccato la Comunità di Deir Mar Musa, che sta continuando il suo cammino. E che in questi giorni di ricordo e di rinnovata attesa, parla attraverso il libro “Paolo Dall’Oglio e la Comunità di Deir Mar Musa. Un deserto, una storia” di Francesca Peliti, amica del religioso romano e presidente dell’Associazione Amici di Deir Mar Musa. Pubblicato da una settimana da Effatà, raccoglie le testimonianze di monaci e monache che a vario titolo hanno fatto parte della Comunità ma anche dodici lettere scritte da padre Paolo agli amici tra il 1985 e il 1995.

La presentazione del volume con Immacolata Dall'Oglio
Il volume è stato presentato la mattina del 28 luglio, vigilia dell’anniversario del rapimento di padre Dall’Oglio, nella sede romana della Federazione Nazionale della Stampa Italiana, da Immacolata, la sorella del gesuita, con l’autrice, padre Federico Lombardi, presidente della Fondazione vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, che ha scritto la prefazione, Cenap Aydin, direttore Istituto Tevere - Centro pro Dialogo e Giuseppe Giulietti, presidente Fnsi. I diritti d’autore derivanti dalla vendita del libro saranno devoluti alla Comunità di Deir Mar Musa.

Padre Lombardi: "Paolo è presente, ma non c'è solo lui"
Nelle tre sedi attive della Comunità, i monasteri di Deir Mar Musa, in Siria, Deir Maryam al-Adhra a Sulaymanya nel Kurdistan iracheno, e il monastero del Santissimo Salvatore a Cori, in Italia, scrive padre Lombardi nella prefazione, “Paolo è presentissimo, come origine, guida e ispiratore di questa straordinaria avventura, e anche con le sue lettere. Ma non c’è solo lui. Ed è proprio per questo che la Comunità c’è ancora”.

Un punto di incontro fisico tra Oriente e Occidente
In quelle montagne desertiche ad est di Nebek, nell’agosto di 40 anni fa, l’allora giovane gesuita paolo Dall’Oglio, scelse il monastero diroccato di Mar Musa per i suoi esercizi spirituali. Quel luogo e la spiritualità che ne emana diventano la sua missione del giovane gesuita che lì trova anche un punto di incontro fisico e simbolico fra Oriente e Occidente. Nel corso di lunghi anni la visione teologica e spirituale di padre Paolo ha coinvolto un gran numero di persone, le ha colpite, cambiando il corso delle loro esistenze. Così Dal 1982 il monastero di Mar Musa al-Habashi, ovvero di San Mosè l’Abissino, è diventato un saldo punto di riferimento per il dialogo islamo cristiano ed è passato attraverso numerose trasformazioni, sopravvivendo alla guerra, alla minaccia dell’Isis e al rapimento del suo fondatore avvenuto a Raqqa il 29 luglio 2013.

Cammino che continua, guidato dal pensiero di padre Paolo
Il viaggio iniziato per mano di padre Paolo non è finito con la sua scomparsa. Al contrario. Negli scritti raccolti dalla Peliti, che si è occupata di editorie e comunicazione e che oggi collabora nell’azienda agricola del marito nelle Marche, studia teologia e con altri amici sostiene la Comunità di Deir Mar Musa, questa Comunità rinnova un voto di fede che trascende le vicende storiche, per rimettere al centro il pensiero del suo fondatore.

I tre monasteri in Siria, Iraq e Italia
La Comunità di Deir Mar Musa, è costituita oggi da 8 membri, 1 novizio e 2 postulanti. A questi si aggiungono i laici che a vario titolo lavorano e collaborano nei tre monasteri oggi attivi. Purtroppo il monastero dedicato a Mar Elian (san Giuliano) a Qaryatayn – un’oasi sulla strada verso Palmira – è stato distrutto dall’Isis nel 2015. Qui è stato rapito a maggio 2015 fra’ Jacques Mourad, parroco della piccola comunità cristiana locale, poi liberato dopo 5 mesi di prigionia. Mar Elian aveva accolto durante la guerra molti sfollati e con grande dedizione e passione fra’ Jacques aveva lavorato per mantenere viva l’armonia tra i cristiani e i musulmani anche nei momenti più bui. Anche il monastero a Sulaymanya ha accolto dal 2014 al 2018 numerose famiglie fuggite da Qaraqosh per l’avanzata dell’Isis. (Vaticanews.va)

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