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Padre Occhetta: Il coronavirus e l'elogio alla sanità

Francesco Occhetta Ansa/Ciro Fusco
Pubblicato il 11-03-2020

Abitare la paura, difendere la salute

Qualcosa è cambiato per sempre, per le nostre vite, per la vita politica ed ecclesiale. Il pericolo del contagio e le misure del Governo hanno creato un prima e un dopo. Non si ha memoria di un periodo in cui la paura ci ha improvvisamente reso così deboli e bisognosi di aiuto. Solo chi vive in aree di guerra e chi è costretto a scappare dalle carestie prova paure più grandi.
È vero, abbiamo vissuto altre pandemie, ma le percepivamo lontane. Eppure il virus dell’Aids ha causato 32 milioni di morti; solo nel 2018 sono morte 435 mila persone di malaria e 1,2 milioni di tubercolosi e poi le conseguenze causate dall’influenza suina, aviaria, Ebola, Sars e Mers.
Senza accorgerci un grande argine è per noi l’articolo 32 della Costituzione che tutela la salute, riconosce l’interesse della collettività per la cura, prevede che lo Stato non possa chiedere ai cittadini di curarsi in via coattiva, eccetto per i trattamenti obbligatori che sono richiesti per salvare la vita. I costituenti hanno tenuto insieme un diritto fondamentale e la sua integrazione con l’interesse della collettività per la salute di ciascuno. Il diritto alla prestazione richiede il consenso, ma è obbligatorio quando è in gioco l’interesse generale, come nel caso delle vaccinazioni. È per questa scelta che in Italia un tampone è a carico dello Stato, mentre in America costa circa 3 mila dollari a chi lo chiede. Quanta lungimiranza e quale dono!

La paura va abitata, si guarisce solo se è relazionata, e mai gestita nella solitudine personale e sociale. Per questo il cardinal Angelo Scola ha di recente rimesso la questione del senso al centro della nostra convivenza personale e sociale: “Per chi io vivo? E quale direzione intendo dare al mio cammino terreno?”. Per superare la paura e iniziare a pensare alla ricostruzione, i cittadini i corpi intermedi e le istituzioni devono ritrovare nuovi ideali e progetti. Sant’Ignazio di Loyola consigliava in tempo di crisi di non cambiare i buoni propositi e le scelte fatte nel tempo di pace interiore. È dai sogni del passato che il futuro riprende colore.
Con un però. Nella vita sociale ogni diritto è garantito da un dovere, non esistono privilegi ma scelte responsabili per essere tutti al servizio di tutti. Il bene comune non è la somma ma la moltiplicazione di ciò che si vale insieme. Basta una persona che remi contro e vuole valere 0 che la moltiplicazione vale 0. La storia lo insegna, contro le epidemie l’unico principio che aiuta a fare scelte concrete è quello di precauzione. Siamo tutti connessi e responsabili l’uno dell’altro. Lo ricorda persino il Manzoni ne "I promessi sposi", quando il card. Borromeo si pentì per aver organizzato la processione contro la peste che i decurioni di Milano volevano a tutti i costi dopo aver sobillato il popolo. A causa di quella “fanatica sicurezza che la processione dovesse aver troncata la peste, le morti crebbero, in ogni classe, in ogni parte della città”, scrive il Manzoni.

La nostra conversione sociale passa dal cambiamento e ripartirà appena le paure si placheranno, modificando stili di vita, investendo sulla formazione e la ricerca scientifica, custodendo un sistema sanitario che è tra i migliori al mondo.
I costituenti cattolici amavano definire la libertà come “responsabilità verso l’altro”. Ce lo insegnano i medici, gli infermieri e il personale sanitario impegnati in prima linea, a cui dobbiamo essere grati. Ma c’è di più. Per la tradizione del cattolicesimo democratico, rappresentata da Aldo Moro e altri esponenti, il fine dell’azione sanitaria è quello di occuparsi della salute — dal latino salus —, che è la salvezza integrale dell’ammalato e del contagiato che non va mai lasciato solo. Anche di questo dobbiamo essere testimoni.

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