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Il Sole 24 Ore, Ravasi: Gesù e Maddalena, accanto a Giuda

Gianfranco Ravasi Il Sole 24 Ore
Pubblicato il 02-08-2020

La figura del «Christus patiens» nell’analisi di Salvatore Natoli, l’attendibile ritratto di Maria di Magdala di Adriana Valerio. E l’enigma del «traditore»

Nelle cattedrali antiche è facile ammirare come pala d’altare un polittico, ossia una sequenza di più pannelli (di solito tre o cinque) dominati da figure di santi o da scene evangeliche, scandite talora da vere e proprie architetture, come, ad esempio, nelle cinque tavole cuspidate con Madonna e Bambino e con santi che Pietro Lorenzetti dipinse a tempera nel 1320 per la Pieve di Santa Maria ad Arezzo. Ebbene, adattando questa tipologia artistica sacra come simbolo, vorremmo ora proporre una sorta di polittico cartaceo teologico-letterario.

Come è frequente nella tradizione pittorica, al centro poniamo una Crocifissione che viene curiosamente abbozzata da Salvatore Natoli, un filosofo docente emerito dell’Università Milano-Bicocca, che è classificato tra i non credenti, ma che costantemente rivela una straordinaria finezza teologica. È ciò che appare anche nel suo Uomo dei dolori che, prima di essere un’icona devozionale cristologica bizantina, è una definizione del Christus patiens sulla filigrana di uno dei testi capitali profetici selezionati dal cristianesimo, fin dalle origini evangeliche, per identificare il volto del Messia. Una figura non più aureolata di luce trascendente né insediata su un trono imperiale, bensì un essere «disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire».

 

Così si esprime Isaia nel quarto dei carmi dedicati a un misterioso «Servo del Signore» (53,3) la cui vicenda drammatica è stata adottata dai Vangeli come chiave interpretativa della passione e morte di Gesù. La scelta di Natoli è proprio quella di assumere questo personaggio che raggruma in sé la gamma oscura del dolore (paura della morte, tradimento, abbandono e solitudine degli amici, tortura, silenzio di Dio, morte per asfissia, rigidità cadaverica), come stella polare di riferimento per decifrare l’esperienza universale della sofferenza. E lo fa in poche pagine di forte intensità, programmate su uno spartito di citazioni evangeliche classiche in latino (tranne una, «Tu sei re?», del dialogo emozionante Gesù-Pilato, che potrebbe anch’essa risuonare nel latino della «Vulgata»: Ergo rex es tu?). Lo snodo di questa indagine per tappe è nel celebre Ecce homo, «il momento più assolutamente umano del racconto della passione, ove viene presentato un uomo, reso oggetto di irrisione e di scherno, deprivato della sua umanità».

La particolare «via crucis» tracciata da questo “laico” teologo comprende, però, tutte le tappe fondamentali, fino alla paradossale testimonianza del cristiano che deve credere e annunciare un Dio realmente morto perché anche uomo (è questo l'apice o, se si vuole, l’abisso dell’Incarnazione), ma Risorto perché Figlio di Dio, cioè Vivente. Come scrive Natoli, la persona di Cristo con la sua storia e il suo messaggio «non può risolversi solo in un exemplum vitae, nell’indicazione di una condotta, ma deve essere una promessa di eternità, della vita venturi saeculi». Il dolore e la morte vissuti da Cristo uomo e Dio sono state, infatti, attraversate dalla trascendenza, fecondate con un seme di eternità. Lasciamo la pala centrale del nostro trittico ideale per passare all’anta di destra. Qui è in scena la prima testimone del Risorto, Maria Maddalena, che – nella copertina del volume a lei destinato – è rappresentata col dipinto del bresciano cinquecentesco Moretto, conservato all’«Institute of Arts» di Chicago. Il vero ritratto del nostro polittico è, però, quello disegnato in modo perfetto da Adriana Valerio, docente alla «Federico II» di Napoli. Diciamo «perfetto» perché Maria di Magdala è stata vittima di vari equivoci: ridotta al rango di prostituta, spiritualizzata nella letteratura gnostica, colpita dal flagello della penitenza, esaltata come contemplativa e persino eremita, trasportata fino ad essere amante di Gesù, dimenticando talora la sua funzione primaria di apostola della risurrezione di Cristo. Chi seguirà le pagine di questa tavola cartacea riuscirà, allora, a ritrovare il vero volto di Maria e non per un’ansia apologetica, bensì attraverso una documentazione rigorosa eppure trasparente e una collocazione della Maddalena nei crocevia della stessa questione femminile contemporanea.

Giungiamo, così, all’ultimo quadro, quello di sinistra che ci riporta ancora alla notte della passione di Cristo. Non è un santo in scena (almeno secondo il nostro giudizio: la mistica Caterina da Genova ascoltava un Gesù sorridente dirle: «Se tu sapessi ciò che io ho fatto per lui...»), bensì il traditore Giuda. La letteratura su di lui e sulla sua scelta (libera o necessaria?) è sterminata e la penna degli scrittori è insonne: ultimo fu il grande Amos Oz. Come scriveva Mario Pomilio nel Quinto evangelio, secondo molti «io non fui il traditore: fui piuttosto la vittima di un curioso piano di salvezza, esteso a tutti gli uomini, che per esplicarsi perfettamente doveva escludere me». Due sono gli scritti, appena apparsi, che ora evochiamo soltanto. C’è innanzitutto il lavoro di cesello testuale di un importante teologo ed esegeta, Roberto Vignolo. Egli mette sotto esame i tratti del Giuda presente soprattutto nel Vangelo di Giovanni: essi approdano a una dichiarazione di «satanicità» e hanno come culmine l’accusa suprema, quando nel confronto con Pilato Gesù dichiara al governatore romano: «Chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande» (­19,11­­). È proprio nella dialettica dei due «massimi» – da un lato, la colpa di Giuda e, d’altro lato, la rivelazioneredenzione di Gesù – che si deve individuare la «grandezza» globale della vicenda in questione. Si devono lasciar cadere le facili esecrazioni o le improbabili riabilitazioni, i determinismi del predestinato obbligato al «tradimento redentivo», per innestare Giuda e il suo atto in un quadro più «grande» e armonico, le cui coordinate teologiche sono finemente ricostruite dalle riflessioni di Vignolo.

A suggello della terza anta del nostro trittico introduciamo, sempre rimandando a Giuda, un registro poetico: autore è un poeta che ho letto spesso con gusto, da semplice amateur della poesia, Eugenio De Signoribus, classe ­1947, che ora raccoglie in unità due suoi itinerari «sui passi dei Passione». Così s’intitola la prima e più recente (2018) sequenza di testi, a cui s’accosta L’altra Passione del 2011­­, ma ripresa e rielaborata. Ed è qui che entra sulla ribalta Giuda «il prescelto… per seguire e tradire». I versi, che trascolorano anche in prosa poetica e sono accompagnati da note intense, simili a un altro percorso tematico, sono estremamente sobri e fin scarni e si condensano, per certi aspetti, nella tradizionale domanda esplicitata nel sottotitolo: «Giuda: il tradimento necessario?». La poesia non descrive, ma allude e intuisce: è per questo che la suggeriamo al lettore, affidandola solo al mirabile (l’aggettivo non è enfatico) e raffinato commento finale di Stefano Verdino.

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