San Francesco a San Vittore
Qualche mese fa sono entrata a San Vittore, a parlare di san Francesco ad un gruppo di detenuti.
Non avevo mai capito che il carcere fosse così dentro la città, vicino a Sant'Ambrogio. Non ero mai entrata in un carcere. Benché fossi attesa e fossero già stati predisposti tutti i permessi, ho dovuto subire i terribili controlli di routine. Ho provato un forte senso di mortificazione, ho capito cosa vuol dire essere senza diritti, davanti ad un poliziotto che ha il potere e non ragiona. Mi è stata tolta meticolosamente ogni cosa: rovesciata la borsa, mi hanno lasciato solo un fazzoletto, che dovevo tenere in mano.
<b>Tutti all'interno non possiedono nulla</b>, all'infuori della loro storia e del loro passato.
Il tempo è totalmente diverso dal nostro; un lento fluire in giornate dove di solito non accade nulla. Perciò, mentre io mi sentivo in ritardo, la gentile dottoressa che mi faceva da guida mi ha portato alle cucine dove un detenuto mi spiega con fierezza l'organizzazione dei pasti, il funzionamento delle macchine, mi fa notare la pulizia con cui è tenuto ogni singolo oggetto. Mi parla con speranza dei provvedimenti del governo. Ha davanti a sé ancora alcuni anni di prigione, ma pensa già al futuro, alla vita, “dopo”. Speriamo davvero che lo trovi, un lavoro, perché lui ce la sta mettendo tutta, per cambiare.
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<b>So che i detenuti, un gruppo di tossicodipendenti e spacciatori</b>, si sono già riuniti nella stanza delle conferenze, ma non vado ancora da loro; vengo portata nel laboratorio di legatoria dove un detenuto, che come mestiere prima faceva il rilegatore, fabbrica con i compagni bellissimi oggetti di cancelleria e mi regala un elaborato portapenne di grande eleganza. Perché è qui?
<bR>Continuiamo a camminare per corridoi e corridoi: dalle porte semi-aperte delle celle si vedono i letti a castello, anche quattro uno sopra l'altro, in spazi ristrettissimi, come in una cabina di treno. Ma dalla cabina si esce, qui invece si passano ore e ore, senza potere fare nulla. E finalmente sono davanti a coloro che così a lungo mi hanno atteso.
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<bR><b> Sono quasi tutti giovani</b> e quasi tutti extra-comunitari. A loro fin da piccoli è stata insegnata la religione musulmana. Ora non so cosa credono e non so cosa sappiano di san Francesco, ma mi è facile parlare dell'andata di Francesco in Egitto, durante la quinta crociata, per mostrare finalmente ai musulmani - che avevano conosciuto solo il volto violento dei cristiani crociati - il suo mite volto portatore del messaggio di amore e di pace di Cristo. Racconto di un Francesco aperto alle differenze, che cerca di trovare quello che unisce gli uomini piuttosto quello che li divide Francesco era a tal punto pronto a cogliere quello che c'è di buono anche in un'altra religione, che, tornato in Italia, aveva scritto a chi aveva il potere affinché questi ordinasse che ogni sera qualcuno salisse sul campanile a chiamare la gente alla preghiera, come il muezzin chiama i fratelli islamici. Dio aveva mandato Francesco per tutti gli uomini, per i cristiani e per chi abitava le terre d'oltre-mare: di questo era sicurissimo. Racconto di come Francesco apprezzasse il lavoro manuale, come momento di meditazione e di aiuto a diventare migliori.
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Il pubblico è attento e alla fine molte sono le domande. Ne parlerò ancora la prossima volta.