LA RIVOLUZIONE DI FRANCESCOdi Eugenio Scalfari
Il gesuita Bergoglio di nome Francesco che ama il santo di cui ha preso il nome
Proponiamo un estratto dell'articolo di Eugenio Scalfari su Repubblica di oggi ad un anno dall'elezione di Papa Francesco.
E' passato quasi un anno dall'elezione di Jorge Bergoglio al soglio di Pietro ed ora tutta la Chiesa ha fiducia
in lui, i fedeli soprattutto per la sua grande capacità di comunicatore, la sua apertura al dialogo, le sue
immagini di una Chiesa povera e missionaria, la sua fede nel Dio misericordioso con tutti. Ma non solo i fedeli
affollano le chiese e le piazze per ascoltarlo; anche le strutture istituzionali, in Italia e in tutto il mondo, lo
appoggiano senza più le riserve iniziali che non erano né poche né marginali. Lo appoggiano e puntano sul
successo della sua azione riformatrice i Vescovi di tutte le nazioni cristiane nell'America Latina, in quelle
americane del Nord, in Europa, in Africa, in Asia, in Oceania; lo appoggiano i cardinali, la Curia, le
Conferenze episcopali, i presbiteri, le Comunità, gli Ordini religiosi, le Università cattoliche, gli Oratori, i
Protestanti. Lo stimano e vogliono dialogare con lui i rabbini e le comunità ebraiche, gli imam che predicano il
Corano e perfino - perfino - i non credenti...
Il gesuita Bergoglio eletto al soglio di Pietro non si chiama,
come pure avrebbe potuto, Ignazio, bensì Francesco, con esplicito riferimento al santo di Assisi. Nessuno
aveva mai preso quel nome nella storia del papato. Un gesuita si chiama papa Francesco. Qual è il
significato e il senso di questa apparente contraddizione?
Molti pensano che Francesco d'Assisi, dopo una
"jeunesse dorée" finita piuttosto male, cui seguì una radicale conversione almeno agli inizi vissuta per il suo
valore espiatorio, sia stato una sorta di fondamentalista della Chiesa dei poveri: piedi scalzi o con sandali
anche nei più rigidi inverni, risorse individuali nessuna, risorse della comunità dei frati scarsissime e frutto di
elemosine più spontanee che cercate e chieste, fedeltà totale a Cristo, fratellanza e amore tra i seguaci di Francesco, assenza di conventi accoglienti anteponendo un'itineranza pressoché continua, amore per il
prossimo da soccorrere, scarsi contatti con la Chiesa ufficiale e istituzionale, identificazione con la virtù, la
natura, la preghiera, la poesia che sgorga dall'anima, nessun timore per "sora nostra morte corporale" perché
l'anima è immortale e la vita solo un transito.
Questo racconto dell'iniziazione di Francesco e dei suoi compagni coglie senza dubbio alcuni aspetti comuni
della Chiesa povera da loro praticata e predicata, ma ne tralascia altri non meno importanti. Per esempio i
contatti che da un certo momento in poi Francesco ebbe e coltivò con i dignitari della Chiesa e col Papa
quando decise di consolidare in un Ordine e nelle sue regole le comunità dei suoi seguaci, di dargli una sede,
ferma restando la pratica itinerante intervallata però di soste non di riposo ma di contemplazione dello Spirito
e di se stessi.
I contatti con la Chiesa ufficiale furono lunghi e piuttosto complessi. La Curia non era molto propensa a
riconoscere un Ordine di quella natura nel momento stesso in cui la Chiesa era già nel pieno delle sue lotte
temporali e ancora alle prese con la secolare questione delle investiture, dopo la piena vittoria a Canossa di
papa Gregorio VII. Una lotta per il potere dalla quale Francesco e i suoi seguaci erano del tutto estranei, anzi
del tutto avversi.
Alla fine fu il Papa stesso a ricevere Francesco colmandolo di lodi e condividendo l'idea che ci fosse un
Ordine come egli proponeva, ma condizionandone l'approvazione a modifiche non marginali delle regole
proposte da Francesco.
La trattativa durò a lungo.
Alla fine gran parte delle modifiche furono accettate dalla comunità francescana e l'Ordine nacque. Sarebbe
lungo e fuori posto in questa sede dar conto di questa complessa vicenda che del resto è stata ampiamente
esaminata dagli storici della Chiesa. Ricordo però che Francesco ha avuto contatti col Papa e con i suoi
dignitari ma la sua itineranza lo portò in varie regioni d'Italia e perfino in Terrasanta dove le Crociate avevano
da tempo messo quelle terre a ferro e fuoco creando principati cristiani, eserciti stanziali e Ordini militari e
religiosi insieme. Francesco ne conobbe i capi e molti cavalieri, ma conobbe anche alcuni dei capi saraceni e
con alcuni di loro pregò il Dio che è universale e del cui nome nessuno dovrebbe appropriarsi e farne
bandiera di guerra. Alcuni dei cristiani di Terrasanta si convinsero a quanto Francesco predicava e se ne
convinsero perfino alcuni dei capi saraceni da lui incontrati che lo frequentarono ed anche lo ospitarono per
qualche giorno dimostrando amicizia alla persona e rispetto per la fede da lui manifestata verso il "Dio di
tutti".
Questi sono i tratti salienti sia pure accennati in modo estremamente sintetico, della Compagnia fondata da
Ignazio e della Chiesa povera guidata dal santo di Assisi. Ci sono, tra i due Ordini e soprattutto tra i loro
fondatori alcuni tratti comuni; soprattutto la fede in Gesù Cristo e nella Chiesa sua mistica sposa; ma le
differenze sono di gran lunga prevalenti. Papa Francesco porta con sé e dentro di sé entrambe queste due
possenti manifestazioni di religiosità, di ruolo e di comportamenti. Mi sono chiesto se si tratti di una
contraddizione apparente o sostanziale e la risposta che mi do è: sostanziale.
Ignazio ebbe anche alcuni momenti di misticismo ma non è su di essi che poggiò la sua azione; amava i
mistici, li riteneva indispensabili alla Chiesa, ma la sua fede era radicata nella sua testa e non soltanto nel
suo cuore. Da questo punto di vista papa Francesco gli somiglia molto.
Il santo di Assisi visse invece in uno stato di misticismo e di identificazione con Cristo quasi permanenti.
Basterebbe il suo rapporto di dolcezza e di dialogo continuo con la natura "sive Deus", le stimmate sulle sue
mani, l'amore spirituale con Chiara che fu accanto a lui nel momento saliente della sua esistenza.
Che io sappia per quello che ho colto in papa Francesco, quest'aspetto saliente di misticismo e
trasfigurazione in lui non ci sono. C'è l'ammirazione e vorrei dire l'adorazione per il santo di cui ha preso il
nome. L'identificazione tra queste due figure si realizza tuttavia su un piano altrettanto importante ed è quello
dell'amore per il prossimo, della misericordia diffusa a tutte le anime, della Chiesa povera e missionaria che
dialoga con tutti, che è vicina a tutti i deboli, a tutti i poveri, a tutti gli esclusi, dell'identificazione di questa Chiesa con il popolo di Dio e dei suoi presbiteri con cura di anime, dei Vescovi successori degli apostoli, delle
Comunità dedicate al volontariato, delle pecore smarrite e dei "figli prodighi" che tornano perché hanno
sentito nel loro profondo d'essere cercati...
Eugenio Scalfari - Repubblica
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