religione

CRONACA VISITA PAPA AD ASSISI 4 OTTOBRE 2013

Redazione online ANSA
Pubblicato il 15-04-2017

Un «saio bianco» ad Assisi, Francesco incontra Francesco

Tutti, al seguito del Signore del mondo, con lui entrano solennemente

nella città di Assisi. Arrivati nel luogo preparato

per quella solenne celebrazione, i cardinali, i vescovi e

gli abati si dispongono attorno al Papa. Ivi accorre un folto

stuolo di sacerdoti e di chierici, la sacra e gioiosa schiera

dei religiosi e quella più vereconda delle religiose avvolte

nel sacro velo. Accorre una folla immensa, una moltitudine

quasi innumerevole di persone di ogni sesso; da ogni

parte accorrono persone di ogni età, felici di essere presenti

a così imponente raduno: il bimbo vicino all’uomo fatto,

il servo vicino al padrone (Gb 3,19). Domina al centro il

Sommo Pontefice, lo sposo della Chiesa di Cristo, attorniato

da tanta varietà di figli, con la corona di gloria sul

capo in segno di santità.

Tommaso da Celano, Vita del beato

Francesco, 124-125, FF 537-538

L’impensabile

È il 13 marzo ed è notte fonda. Il pomeriggio è trascorso

con i collaboratori Alessio, Roberto e Andrea. È stata un’intensa

giornata ed è accaduto l’impensabile: il Papa appena

eletto ha preso il nome di Francesco.

L’ultima telefonata è della corrispondente del «New York

Times», Elisabetta Povoledo, mentre torno nella mia camera

dopo aver partecipato al dibattito di «Porta a Porta» con

Marco Tarquinio, direttore di «Avvenire», e Andrea Riccardi,

fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Una trasmissione

che si chiude con un siparietto tra il sottoscritto e il

giornalista Bruno Vespa: «Adesso ci camperete per secoli

con papa Francesco» dice; e io: «è una nuova primavera!»,

proprio come lo fu l’Assisiate per il 1200.

L’inimmaginabile

Il 5 marzo «il Fatto Quotidiano» aveva titolato I frati di

Assisi aspettano Francesco I, così, dopo essersi avverato l’impensabile,

passo a raccontare qui l’inimmaginabile. Peserò

ogni parola, sapendo che questo racconto rimarrà nella storia

della comunità francescana.

Voglio iniziare con un pensiero rivolto ai milioni di frati

che in questi secoli hanno incarnato nelle periferie, come

nelle città, il carisma di Francesco e che forse non avrebbero

mai immaginato – anche se lo auspicavano – l’incontro

tra papa Francesco e il loro, il nostro san Francesco.

Il 4 ottobre 2013 è una giornata che si apre con la pioggia

e si chiude con un volo d’elicottero che parte dal campo

sportivo di Rivotorto alle 19.35. Eravamo lì, sia all’arrivo

sia alla partenza, gli occhi bagnati da lacrime simili a

quelle di papa Francesco, che offrivano al Santo d’Assisi

la speranza degli uomini di buona volontà.

La vigilia della visita si chiude dopo cena con le parole di

Mauro Gambetti, Custode del Sacro Convento: «Il Papa ha

manifestato il desiderio di salutare singolarmente ciascuno

di noi, lo farà al suo arrivo nella Basilica superiore»; l’emozione

si fa più forte e l’attesa trepidante.

La mattina del 4 il Papa arriva in anticipo, alle 7.26. In

città l’attendono circa settantamila pellegrini, anche se la

stampa parlerà di centomila, e 1039 giornalisti: è un pellegrinaggio

che per la storia delle visite papali in Assisi non

ha precedenti, per l’imponente presenza dei mass media

– tre sale stampa e circa cinquanta fly satellitari seguono

l’evento – e per quantità di persone giunte da ogni parte

d’Italia e del mondo, nonché per i luoghi toccati, ben dodici.

Le strade sono tutte transennate, dietro i pellegrini che

non vedono l’ora di salutarlo. Anche sui tetti le persone si

accalcano munite di binocoli e macchine fotografiche, pronti

a immortalare un gesto, una persona, il Papa.

L’arrivo all’Istituto Serafico, che accoglie ragazzi disabili,

è un tripudio. Sotto una pioggia insistente quella festa

iniziale si fa raccoglimento quando il Papa saluta, a uno a

uno, tutti i ragazzi ospitati portandosi le loro teste al petto:

«Queste piaghe hanno bisogno di essere ascoltate, di essere

riconosciute». Aggiunge poi: «Da questo luogo in cui si

vede l’amore concreto, dico a tutti: moltiplichiamo le opere

della cultura dell’accoglienza, opere anzitutto animate da

un profondo amore cristiano»; poi scherza da una finestra

con dei fedeli: «Pregate per me… ma a favore! non contro!».

Inizia così il pellegrinaggio del Pontefice, con la gioia di

vedere il nostro fotografo Andrea immortalare l’inimmaginabile.

Il vescovo di Assisi, Domenico Sorrentino, è seduto

accanto al Papa e mi chiama con voce preoccupata, dicendomi:

«State provvedendo per la pioggia?»; e io: «Eccellenza,

non pioverà». Il palco per la celebrazione eucaristica

non prevedeva infatti la copertura. Dopo pochi minuti

mi chiama anche il nostro Custode, preoccupato nel non

vedere sul palco l’ombrellone mobile che era stato previsto

in caso di pioggia, la quale, grazie a Dio, non c’è stata.

Verso le 10, infatti, appena sistemata la grande statua di

San Francesco di Giovanni Dupré sul grande palco a forma

di tau, il cielo si è schiarito regalandoci una bellissima

giornata. Né sole, né pioggia, ma il giusto clima. È il «miracolo

» di san Francesco.

Il Papa si ferma quindi a San Damiano. Ad accoglierlo

c’è il Ministro generale dei Frati minori, Michael Perry.

Precedono il Papa gli otto cardinali scelti da Bergoglio

stesso per la riforma del governo della Chiesa universale:

Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato vaticano;

Francisco Javier Errßzuriz Ossa, ex presidente del Consiglio

episcopale latinoamericano; Oswald Gracias, arcivescovo

di Bombay; Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco

e Frisinga; Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo

di Kinshasa; il cappuccino Patrick O’Malley, arcivescovo

di Boston; George Pell, arcivescovo di Sidney. Nelle parole

del Pontefice riecheggiano le parole di Cristo a Francesco

«va’ e ripara la mia casa». Ad attenderlo l’intera comunità

di San Damiano. Il luogo suggestivo è reso ancora più

toccante dai canti dei frati che accolgono l’arrivo del Pontefice

«venuto dalla fine del mondo». Dopo i saluti pieni

d’affetto è già ora della prossima tappa, e il Papa lascia i

frati con un invito: «Avete sposato la povertà, restatele fedeli,

non la tradite».

Grandissima era stata l’attesa per questa tappa: siamo al

Vescovado, nella Sala della Spoliazione, tanti i rumors tra i

media. Tutti si aspettavano un gesto o un discorso eclatante,

ma è lo stesso Papa a smentire le previsioni: «In questi

giorni, sui giornali, sui mezzi di comunicazione, si facevano

fantasie» dice il Papa, ma il suo discorso sarà solo fermo

e conciso, senza frasi o gesti eccessivi. «La Chiesa – tutti

noi – deve spogliarsi della mondanità, che porta alla vanità,

all’orgoglio, che è l’idolatria.» Con questo monito lascia

quindi la sala pregna di significati chiedendo: «Pregate

per me, ne ho bisogno… tutti! Grazie!».

Nella chiesa di Santa Maria Maggiore c’è frate Mauro

Jöhri, Ministro generale dei Cappuccini; insieme a lui, i religiosi

che svolgono il servizio pastorale e che il Papa saluta

a uno a uno, come anche la famiglia con una bambina

disabile.

Inizia quindi il trasferimento alla Basilica superiore. La

piazza del Comune di Assisi e gli spazi antistanti il complesso

basilicale sono stracolmi di gente, a ogni angolo è

un grido: «Papa Francesco! Papa Francesco!». Alle 10.13,

sul prato della Basilica, è un bagno di folla: ci sono quasi

settemila persone. Anche qui «l’angelo custode» del Papa,

il capo della Gendarmeria vaticana Domenico Giani, gli

porge i bambini che egli saluta gioiosamente.

Entra in Basilica superiore un minuto dopo. Lo accolgono

all’entrata il presidente del Consiglio dei ministri, Enrico

Letta, e il Legato pontificio della Basilica, il cardinal Attilio

Nicora, mentre all’interno della Basilica lo accoglie il

Ministro generale dell’Ordine francescano dei Frati minori

conventuali, Marco Tasca, e il Custode del Sacro Convento.

Lo accompagnano all’interno e per papa Bergoglio è un

vero e proprio colpo d’occhio: il primo film a colori su san

Francesco lo avvolge, è la vita del Santo affrescata da Giotto.

Si sofferma in particolare sull’affresco rappresentante il

sogno di Innocenzo III, che racconta quando quest’ultimo

sognò l’incontro con il Poverello d’Assisi; passando sotto

le vele chiede informazioni sulla volta caduta durante il

terremoto del 1997, ricordando di aver «avuto modo di vedere

le terribili immagini sulla tv in Argentina». È il momento

quindi degli attesi saluti ai frati conventuali, siamo

una novantina perché con noi ci sono anche i membri del

Definitorio generale.

Pian piano, alzandosi la tonaca con incedere calmo, scende

le scale che portano nel chiostro dove saluta degli amici

ammalati insieme ad alcuni benefattori: sono lì ad attenderlo

profondamente commossi, tanto da non saper trattenere

le lacrime, come la famiglia Metelli.

Ora, attraversando la Basilica inferiore, monsignor Sapienza

si avvicina a me e mi dice: «Padre Enzo, saluterà

la redazione della rivista alla fine della visita alla tomba,

tu fa’ preparare i ragazzi»; ancora con passo sicuro scende

alla tomba del Santo. La Rai sta trasmettendo una diretta,

sono in oltre due milioni a seguirla. Alle 10.29 scende nella

cripta, è il momento più atteso; Aldo Cazzullo scriverà

sul «Corriere della Sera»: «È grave, concentrato, commosso

»; ad attenderlo ci sono i Ministri generali delle famiglie

francescane. Il nostro Custode ha voluto che ci fosse anche

padre Fabrizio Migliasso, Custode della Basilica di Santa

Maria degli Angeli.

Sale i due gradini che lo dividono dall’altare e depone

due rose gialle e una bianca, i colori della bandiera vaticana.

Aggiunge poi una scatola in legno contenente un calice

e una patena, i suoi doni personali: da Francesco a Francesco.

Gli viene poi portato il biglietto autografo del Santo con

la benedizione a frate Leone, conservato nel reliquiario posto

sull’altare. Il Papa scende i gradini aiutandosi con la

mano destra posata sulla gamba, solleva leggermente il

«saio bianco», si inginocchia, china il capo e prega. Dagli occhi

sgorgano quelle lacrime che faranno il giro del mondo.

Accompagna il momento la Toccata di Frescobaldi suonata

sul piccolo organo della cripta da Fabio Framba. Poi si in trattiene a parlare e mentre riceve i doni ci dice: «Non ero

mai stato qui, sulla tomba di Francesco».

Il momento è storico: fino a oggi solo Gregorio IX nel

1235 e Giovanni XXIII nel 1962 erano stati presenti il 4 ottobre

nella città serafica, ma adesso è la prima volta dal

1939 – anno della proclamazione di san Francesco Patrono

d’Italia – che un Pontefice presiede la celebrazione eucaristica

con l’accensione della lampada votiva. Quest’anno,

poi, per una felice coincidenza, tocca all’Umbria donare

l’olio. Per l’occasione il direttore della cappella musicale

della nostra Basilica, padre Giuseppe Magrino, ha composto

la messa dal titolo A te, o Francesco.

È anche la prima volta che un Papa saluta tutte le famiglie

francescane al completo. Il Ministro generale, infatti,

gli fa notare che ci sono anche i Ministri generali dei frati

Cappuccini, dei Minori, del Tor e dell’Ofs: «Siamo tutti

qui insieme» dice, e papa Francesco: «Bravi, dovete rimanere

uniti».

È un evento che è già storia e nessuno potrà cancellarlo.

Si avvicinano a questo punto i confratelli che non l’hanno

salutato nella Basilica superiore; erano nella cripta fin dalle

cinque del mattino, perché fosse tutto pronto per questo

momento: frate Giambattista Moriconi, frate Ignazio Lai e

frate Kaniyaparambil Shaji lo salutano, poi si avvicina padre

Vladimiro Penev, che è il nostro decano, qui dal 1938.

Bergoglio gli chiede: «Davvero lei è bulgaro?», mentre

il nostro fratello gli spiega che ha dipinto per lui una copia

della croce del Maestro dei crocifissi blu, con dedica

e data. Bergoglio nota il colore insolito, è quel blu simbolo

del cielo di Dio, e sfiora con la mano l’immagine di san

Francesco ai piedi della croce. È felice di ricevere la copia

della Regola di san Francesco, mentre fra Battista gli ricorda

che il 4 ottobre 1962 fu lui ad accogliere di sera Giovanni

XXIII. Frate Ignazio sembra sintetizzare il nostro pensiero

(«Lei è una benedizione per l’umanità»), mentre papa

Francesco lo abbraccia calorosamente.

Il Papa risale le scale della cripta, ad attenderlo la redazione

della rivista «San Francesco Patrono d’Italia». Non

poteva avvenire in un momento migliore: dopo l’incontro

con Francesco, l’incontro con la nostra redazione. Alessio

gli presenta la raccolta di lettere, messaggi, twitter giunti

alla redazione per lui. Papa Francesco nota quella di Danilo,

un ragazzo tetraplegico che collabora con noi.

Intanto i pellegrini sulla piazza attendono per l’inizio

della celebrazione eucaristica e io mi reco con il cuore

colmo di gioia a commentare la diretta televisiva nella

postazione di RaiUno, insieme al direttore di «Avvenire

», Marco Tarquinio. Attesissima è l’omelia della santa

messa che si svolge nella piazza antistante la Basilica

inferiore; arriva una conferma dei tre temi che hanno

caratterizzato la scelta del nome Francesco: pace, povertà

e custodia del Creato, come aveva avuto modo di annunciare

nella sua prima conferenza stampa. «La pace

francescana non è un sentimento sdolcinato. Per favore:

questo san Francesco non esiste! E neppure è una specie

di armonia panteistica con le energie del cosmo… Anche

questo non è francescano, ma è un’idea che alcuni hanno

costruito! La pace di san Francesco è quella di Cristo, e

la trova chi prende su di sé il suo giogo, cioè il suo comandamento:

“Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato”.

» Il Pontefice guarda di sfuggita l’orologio: per molti

è l’«ora del cambiamento».

Ci lascia con una preghiera, ed è la benedizione all’Italia:

«Ti prego dunque, o Signore Gesù Cristo, Padre delle

misericordie, di non voler guardare alla nostra ingratitudine,

ma di ricordarti sempre della sovrabbondante

pietà che in questa città hai mostrato, affinché sia sempre

il luogo e la dimora di quelli che veramente ti conoscono

e glorificano il tuo nome benedetto e gloriosissimo nei secoli

dei secoli. Amen».

Al termine della celebrazione i saluti di monsignor Gualtiero

Bassetti, della presidente della Regione Umbria Catiuscia

Marini e l’accensione della lampada del sindaco di

Perugia Wladimiro Boccali a nome dei Comuni; accanto a

lui il sindaco di Assisi Claudio Ricci. Al termine l’applauso

si fa fragoroso, intenso, prolungato.

Mentre il Papa ritorna in sacrestia si notano i colori dei

gonfaloni, che a mo’ di picchetto d’onore gli rendono omaggio.

Prima di uscire dalla Basilica è gioioso, saluta le nostre

cuoche, le guardie e i duecento sacerdoti che avevano

concelebrato. Prima di andarsene, però, chiede alle cuoche

cosa abbiano preparato di buono e loro rispondono commosse:

«Insalata russa, ravioli e arrosto». «Brave» risponde.

«Io vado a mangiare con i poveri alla Caritas» e poi scherza:

«Quindi voi siete le cuoche del convento? Ma ancora

non li avete avvelenati questi frati?» e se ne va sorridendo.

Dopo aver salutato il Custode e il premier Letta, il Papa

lascia la Basilica per dirigersi alla Caritas, dove ad attenderlo

ci sono cinquantasette poveri. È un bambino vivacissimo

ad accoglierlo, che inaspettatamente lo prende per

mano e gli dice sicuro: «Vieni con me, ti accompagno io!».

Tra i sorrisi suscitati dal piacevole imprevisto, è padre Vittorio

Viola, responsabile della Caritas assisana e umbra, a

fare gli onori di casa. Al Sacro Convento sono rimasti centotré

poveri, insieme con il presidente del Senato Pietro

Grasso, il premier Enrico Letta, gli otto cardinali a seguito

del Pontefice, i vescovi e i novantotto sindaci dei Comuni

umbri, mentre Bagnasco è ripartito. Non mancano alcuni

amici e benefattori della comunità, per un totale di quattrocentoventidue

persone.

Intanto papa Francesco, dopo la Caritas, prosegue con la

visita alle carceri, dove lascia la papamobile e prende una

Panda blu, che arriva fino alle porte del convento. Non

senza qualche piccola difficoltà – dato il percorso impervio

– si reca nella cella di san Francesco, per raccogliersi in

preghiera nel luogo che fu di rifugio e di meditazione del

Poverello e dei suoi compagni.

Ci spostiamo quindi alla Cattedrale di San Rufino. Nel

sagrato è stato steso un tappeto di 120 metri quadri di fiori,

merito dei tradizionali infioratori di Spello e Cannara. Qui

il Papa incontra non solo il clero, ma anche i membri dei

Consigli pastorali della diocesi e le persone di vita consa crata. Nel tragitto viene intercettato dalla troupe di «Ballarò

» e risponde senza esitazioni alla domanda del giornalista:

«Santità, c’è speranza per l’Italia?»: «Sempre c’è speranza,

perché il Signore ci dà speranza, il Signore ci dà la forza di

andare avanti». «Cosa dobbiamo fare per avere speranza?»

prosegue l’inviato della trasmissione di RaiTre. «Cercatela

voi, che il Signore vi ispirerà» risponde con il pollice alzato

in un «okay», proseguendo poi verso la Cattedrale. Qui,

rivolto alla comunità dei fedeli, dice: «Adesso, compiti a

casa! Mamma, papà, ditemi: quando sono stato battezzato?

È importante, perché è il giorno della nascita come figlio

di Dio». Poi, rivolgendosi ai religiosi, li invita a essere

vicini al loro popolo: «Io penso a questi parroci che conoscevano

il nome delle persone della parrocchia, che andavano

a trovarli; anche come uno mi diceva: Io conosco il nome

del cane di ogni famiglia, anche il nome del cane conoscevano!

Che bello che era! Che cosa c’è di più bello?». Ma si rivolge

anche ai fedeli che sono sposati, con un aneddoto: «Io

dico sempre: “Litigate quanto volete. Se volano i piatti, lasciateli.

Ma mai finite la giornata senza fare la pace! Mai!”».

Terminato l’incontro alla Cattedrale, è la volta della visita

alla Basilica di Santa Chiara di Assisi, dove lo aspettano

le Clarisse. Il primo passo è la venerazione del corpo della

Santa nella cripta, poi della preghiera davanti al crocifisso

di San Damiano. Il momento di raccoglimento lascia

poi spazio al saluto alle monache di clausura, in cui Francesco

ci regala qualche altro momento di «leggerezza» dicendo

alle sorelle: «A me dispiace quando trovo suore che

non sono gioiose, che forse sorridono col sorriso di un’assistente

di volo, ma non con il sorriso della gioia che viene

da dentro»; poi, ancora, invita le sorelle a essere umane,

scherzando su Teresa d’Ávila – «perché la suora, come la

Chiesa, è sulla strada di essere esperta in umanità. E questa

è la vostra strada: non troppo spirituale! ... io penso alla

fondatrice dei monasteri della vostra concorrenza, santa Teresa,

per esempio». Le parole alle sorelle sono gioiose, forse

anche in previsione del bel momento che lo attende tra

poco: l’incontro con i giovani a Santa Maria degli Angeli.

Nella piazza della Basilica di Santa Maria sono dodicimila

i giovani che lo attendono. È ancora un bagno di folla,

si ferma continuamente a salutare ragazzi e gruppi. I pellegrini

sono più di trentamila. Tra questi rimane impressa

la tenerezza verso il gruppo di ragazzi down e invalidi

che lo attendevano lì. La piazza è gremita, Bergoglio sale

sul palco, ad aspettarlo un gruppo di giovani che espone

al Santo Padre domande e dubbi. È lo stesso Bergoglio a

sottolineare che non andrà a braccio, ma è comunque uno

dei momenti di maggiore spontaneità. La genuinità che

ha caratterizzato l’incontro a Santa Chiara si fa più decisa,

ma anche piena di significato. Invita i giovani a non essere

egoisti e a non aderire alla cultura del provvisorio («una

volta ho sentito un seminarista: “Io voglio diventare prete

per dieci anni, poi ci ripenso”»). Rivolgendosi alle coppie,

le ammonisce quando affermano: «Ah, noi ci amiamo

tanto ma rimarremo insieme finché dura l’amore». Poi l’invito

a prendersi le proprie responsabilità: racconta di una

mamma che si stava lamentando del proprio figlio che a

trent’anni non si decideva a sposarsi; il suo consiglio fu:

«Ma signora, non gli stiri più le camicie! È così! Non abbiate

paura di fare passi definitivi, come quello del matrimonio:

approfondite il vostro amore, rispettandone i tempi

e le espressioni, pregate, preparatevi bene ma poi abbiate

fiducia che il Signore non vi lascia soli!». Nel registro delle

presenze, dopo aver salutato la comunità religiosa, lascerà

queste parole: «Cari Fratelli. Per favore, custodite la

minorità. Pregate per me».

La giornata sta giungendo al termine e il Pontefice prende

la strada per l’ultima delle dodici tappe. In auto raggiunge

il santuario di Rivotorto. Migliaia i pellegrini in

attesa. Qui è accolto dal Padre guardiano Gianmarco Arrigoni

e dall’intera comunità. Insieme a loro, due bambini

con delle colombe bianche che papa Francesco libera nel

cielo. Dopo una breve visita della chiesa e una preghiera

all’altare si reca nel Tugurio. All’uscita, fra Guglielmo Spirito

– di origine argentina, che il Papa aveva salutato esclamando

«Con lui ci conosciamo!» – in un caratteristico gesto

di ospitalità gli offre il mate: la bevanda che i gesuiti presero

dagli indios guaraní. Ma si avvicina il momento della

partenza, le auto si muovono verso il campo sportivo di

Rivotorto, dove il Pontefice prenderà il volo per il ritorno.

L’indelebile

Una giornata dove i tre cardini del francescanesimo sottolineati

da papa Francesco hanno accompagnato l’intera

visita: il Creato da custodire, la Povertà da condividere e

la Pace da sostenere.

Cerco di far sintesi di questa giornata per raccontarla

domani mattina con la nostra rubrica Tg1 Dialogo che per

la prima volta andrà in diretta e durerà venti minuti invece

di sette.

È ormai completamente notte, e in questo momento di

attesa e di stanchezza, penso che due sono le immagini che

rimarranno impresse, indelebili nelle nostre menti: quelle

lacrime sulla tomba del Poverello d’Assisi e l’accensione

della lampada votiva, simbolo di pace.

Mentre sto consegnando queste pagine alle stampe, viene

fuori la notizia della preghiera rivolta da papa Francesco

sulla tomba del Santo di Assisi, grazie alla domanda rivolta

al Pontefice da una donna di una parrocchia romana.

«Ho chiesto il dono della semplicità per me e per tutta

la Chiesa» ha risposto il Papa. E pensare che proprio Francesco

d’Assisi amava definirsi «uomo semplice».

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