Medio Oriente. Intervista a Lucia Goraggi giornalista di Rainews24 inviata di guerra
D – Dagli scenari di guerra in prima linea alle comunicazioni per RAI news 24; non si sente una paladina di giustizia?
R – Assolutamente no. Lasciamo i paladini alle bellissime gesta dei pupi che in Sicilia - per rimanere in una terra da voi citata in questo articolo - tanti bravi cantastorie ancora rappresentano. Io, come inviata, ho un compito: avvicinarmi il più possibile là dove gli eventi accadono. È chiaro che nel nostro lavoro c’è un’enorme tensione morale e se, con la nostra ricostruzione dei fatti il più possibile onesta, riusciamo a veicolare giustizia, la sera ci addormentiamo con un po’ di pace nel cuore, a dispetto di quello che durante il giorno ci è toccato vedere. Che non sempre si assorbe con facilità.
D – La percezione del cambiamento epocale come viene vissuta da una giornalista vincitrice del Premio Ilaria Alpi ed oggi del Premio Internazionale di Giornalismo dedicato a Maria Grazia Cutuli?
R – Se la domanda si riferisce alle tecnologie che consentono il fenomeno di citizen journalist, del giornalismo di prossimità, nutro per esse un entusiasmo scettico. L’informazione che arriva da facebook, twitter, youreporter, ha un pregio innegabile: smaschera la menzogna dei regimi, le cui televisioni di stato sino a non molti anni fa erano unica fonte di notizie video. Adesso il presidente siriano Bashar el Assad può anche provare a raccontare di aver mandato l’esercito in strada contro dei “terroristi”; se poi, mezz’ora dopo, iniziano a circolare sui social network le immagini di donne aggredite, bambini feriti, gente inerme vittima di repressione, l’inganno è smascherato. E ciò è uno straordinario, inedito strumento di libertà. Ma attenzione: il citizen journalist è un partisan journalist. È di parte. Sempre. Anche quando non vuole esserlo, anche quando non sa di esserlo. Il giornalista, il buon giornalista, è neutrale sul campo di battaglia. Che non significa asettico. Né privo di passione. È semplicemente un uomo, o una donna, in accanita, inesausta ricerca della verità storica. Forse non ci arriverà mai, ma la sua indefessa ricerca è quanto di più vicino vi possa essere alla corretta informazione.
D – Ormai il progresso tecnologico rende libera l’informazione e l’espressione delle proprie idee e si concretizza sempre di più il potenziale di cambiamento rappresentato dalla rivoluzione dell’informazione; stare al passo del tempo. Il passaggio dal virtuale al concreto, dal sogno alla realtà per la conquista della libertà?
R – La libertà è conquista personale. Ho sempre diffidato delle filosofie, delle visioni del mondo che promettono libertà collettiva. La conquista della libertà, delle libertà, è un processo lungo e doloroso. Ma quando il genio scappa dalla lampada, difficile che lo si possa rimettere dentro. Tornare nella Libia in preda al caos due anni dopo la rivoluzione, dà pena a quanti in quella rivoluzione avevano creduto. Ma sostenere che fosse meglio con Gheddafi è un falso storico. È come voler dire che certi popoli sono strutturalmente inabili alla democrazia. Un neo-orientalismo colpevole e superficiale. Non fa per me.
D – Lucia Goracci;il suo impegno nel sociale?
R – Considero il mio lavoro, il modo di declinarlo, un impegno anche sociale. Il resto fa parte del mio privato. Non amo farne una bandiera
D – Sulle proposte all’umanitàdi Papa Francesco riguardo all’essere custodi, alnon aver paura di rendere tenerezza; “Noi, vasi di argilla pieni di speranza…”, il pensiero poetico di Sua Santità, riporta al significato temporale della vita in contrapposizione a quella della speranza, della fede; le tangenti ed il clientelismo, solo una realtà italiana? Su queste problematiche è possibile avere una riflessione di Lucia Goracci?
R – Sono un male non solo italiano ma certamente italiano. Segno di profonda immaturità civile. Di scarso sentimento del bene comune. Di indifferenza verso i diritti dei nostri concittadini. Se io non pago le tasse, tu ne pagherai di più. E’ elementare. Ed è solo un esempio. Forse è per questo che amo di più muovermi all’estero. Non perché altrove corruzione e clientelismo siano assenti. Ma forse mi fanno meno male.
di Giuseppe Lorin
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