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CARDINI: BERGOGLIO SULLE ORME DI SAN FRANCESCO FORTUNATO:FRANCESCO E I MUSULMANI DA 'INFEDELI' A FRATELLI PAPA: MI PIACE CITARE SAN FRANCESCO E LA SUA MITEZZA 

Franco Cardini Ansa - ALI HAIDER
Pubblicato il 05-02-2019

Il viaggio di Bergoglio sul filo di una ricorrenza È l’incontro a Damietta tra Francesco d’Assisi e il sultano

Un Papa, ai primi del XXI secolo, in tempi di rovente polemica sull’Islam, è ospite ad Abu Dhabi di un sultano che sembra amare al tempo stesso il Corano, la tecnologia e la modernità (con annesso business). Logico associare all’evento la visita di Francesco d’Assisi nel 1219 al sultano d’Egitto, nel quadro di una crociata che aveva invaso i suoi domìni. Francesco era quindi un nemico? E che cosa voleva dal sultano: convertirlo, esortarlo a far cessare una guerra o che cos’altro?



L’episodio è arcinoto, narrato e rinarrato dal Duecento a oggi (ne parla anche Dante), illustrato da pale d’altare e affreschi. Si parla di una visita del santo, che si trovava con l’esercito crociato assediante sotto le mura della città di Damiata sul delta del Nilo (in arabo Dimyat), al sultano Al-Malik Al-Kamil, nipote del Saladino, che comandava i difensori. L’incontro va situato tra l’estate e l’autunno del 1219, al tempo della quinta crociata. La storicità dell’episodio è assicurata da almeno cinque racconti cronistici occidentali coevi, oltre a numerose fonti francescane e un’epigrafe arabo-musulmana del tempo. 


Il momento più affascinante della visita, la ‘prova del fuoco’ – camminare sui carboni ardenti –, è stato oggetto di molte critiche finché illustri arabisti e islamologi quali Louis Massignon e Giulio Basetti-Sani non ne hanno confermato quanto meno la plausibilità. Comunque, tale ordalia, non ebbe luogo: i dotti musulmani presenti la respinsero.



Il dubbio sta nella poca credibilità del fatto che la sfida sia stata lanciata dal santo. Sarebbe stata logica nel contesto di un dibattito tra Francesco e l’entourage del sultano sulla maggior veridicità della fede cristiana o della legge islamica. Ma non risulta, né appare credibile, che Francesco dinanzi al sultano si desse a una performance missionaria così aggressiva, che già allora si sapeva rischiosa in terra d’Islam, suscettibile di violare i limiti imposti dalla sha’ria, la legge ispirata al Corano. D’altronde, le idee di Francesco in termini non già di missionarismo, bensì di presenza e testimonianza cristiana anche tra gli infedeli, sono note: il frate minore che vada tra gli infedeli non deve suscitare scandali o querele, dev’essere mite e soggetto a tutti; se poi si sente ispirato da Dio, può predicare Cristo e il Vangelo. Nessun accenno a tecniche missionarie fondate sul confronto qualitativo tra le religioni.


Ma allora, perché il sultano lo ammise alla sua presenza? E di che parlarono? Che Francesco fosse latore di qualche messaggio ufficiale dei capi della crociata non è credibile: le ambascerie diplomatiche ufficiali si formalizzavano in altro modo. Ma l’uomo d’Assisi veniva al principe musulmano da semplice sufi (tale è, tecnicamente, chiunque datosi alla preghiera e alla meditazione palesa la sua vocazione indossando un semplice abito di lana fornito di cappuccio, in arabo sufi). E il sultano ascolta – presumibilmente tramite interprete – le parole dell’uomo di Dio.

Di che cosa avranno parlato: di pace? Forse: Vangelo e Corano forniscono al riguardo buona materia di dialogo. Magari anche di altre cose: forse i falchi, loro comune passione. Chissà.


L’EPISODIO, comunque, ha avviato anche altre polemiche: su quel che Francesco pensasse della crociata. È sottinteso che, in quanto guerra, non poteva piacergli; e d’altronde egli, diacono, non avrebbe mai potuto toccare armi. Ma la crociata del tempo era ancora sentita anzitutto come pellegrinaggio: e Francesco, che venendo in Oriente avrebbe voluto visitare soprattutto Gerusalemme e Betlemme (ma non poté farlo: il bando di crociata lo vietava a meno che quelle città non fossero state conquistate), era tecnicamente un crociato. Aveva pronunziato il votum crucis, condizione per partecipare all’impresa. E chissà che non fosse là soprattutto, per predicare sì, ma a chi ne aveva più bisogno: ai crociati stessi. Vale ricordare che il rito di assunzione della croce era una cerimonia che riguardava il pellegrinaggio e nulla aveva di guerriero.


Ciò detto, qualunque altra interpretazione resta legittima: perfino quella analogico-leggendaria, che s’incentra sulla somiglianza (che l’iconografia sottolinea) tra la predica ai saraceni e quella agli uccellini (ch’erano altresì uccellacci) o al lupo di Gubbio. Certo, l’episodio dell’incontro tra il santo e il sultano resta storicamente verosimile. Ultimissima questione: che cosa sapeva, Francesco, dell’Islam? A quel tempo, per i dotti teologi era un’eresia cristiana; per i poeti delle Chansons de geste ascoltate nelle fiere di mercato, un paganesimo demoniaco; per i raffinati autori di romanzi cavallereschi, una religione misteriosa i cui fedeli erano spesso cavalieri leali e coraggiosi. Credo che Francesco, con la sua cultura cortesegiullaresca, propendesse per il terzo modello. Per il resto, come dicono gli arabi, Dio ne sa di più.

(Franco Cardini – La Nazione)


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