francescanesimo

Accrocca: il sogno di Francesco

Redazione
Pubblicato il 11-05-2019

Francesco d’Assisi passò – come dice un titolo azzeccato di Pietro Messa – dai sogni di grandezza alla grandezza di un sogno. In gioventù fu perseguitato da sogni di grandezza, smaniando al punto che per ottenere il titolo nobiliare non si mise paura di partire per la guerra; una partenza per la quale si era armato di tutto punto, compreso uno scudiero, ma che terminò presto perché a Spoleto, in un’esperienza interiore che può dirsi a metà tra il sonno e la visione (forse un sonno poco tranquillo, sovraffollato di dubbi e pensieri), il Signore gli fece capire che in altro modo egli avrebbe dovuto scrivere una pagina importante per la storia dell’umanità.

Per essere più precisi, allora Francesco non aveva capito un granché. L’unica cosa chiara era che la strada per la quale si era prima incamminato con tanta decisione in realtà non era la sua. Comprese bene dove andare quando incontrò Gesù, il Figlio di Dio fattosi uomo per noi e la nostra salvezza, Colui che per noi era nato povero, povero era vissuto, nudo era morto per noi sulla croce.

Fu allora che la sua vita cambiò e cambiarono pure i suoi sogni. Se prima era lui al centro del mondo e tutto avrebbe dovuto ruotare intorno a lui, dopo di allora fu Gesù a conquistare il centro della scena e sogno di Francesco fu quello che gli uomini lo conoscessero, l’amassero e – conoscendo Lui – si amassero vicendevolmente, riconoscendosi reciprocamente immagine di Lui; che gli uomini non avessero innalzato tra loro muri, ma costruito ponti di accoglienza e di pace, salutando nei più poveri il volto del loro Signore.

Suo sogno fu che gli uomini rispettassero il creato, opera di Dio, accettando anche il dolore e la morte come parte della vita, perché la vita non termina qui e l’uomo ha un destino eterno: Dio, infatti, gli ha fatto dono di una vita che non ha fine. Nella linea di quest’orizzonte, non doveva mancare la gioia.

Credo che Raoul Manselli abbia colto nel segno quando, interrogandosi sull’origine dell’ammirazione di Francesco per gli uccelli e gli animali in genere, faceva rilevare che “l’uccello può soffrire, ma poi canta lo stesso. Anche gli animali possono avere le loro sofferenze, ma anch’essi sanno vincerle nella rassegnazione e, persino, nella gioia. Solo gli uomini rischiano di mostrarsi, come lo stesso Francesco dice nella regola «tristes extrinsecus et nubilosos hypocritas» [tristi all’esterno e rannuvolati come gli ipocriti]. In questo, allora, va trovata la radice dell’amore di Francesco per i viventi; essi possono essere persino esempio all’uomo di come si vinca il dolore e la sofferenza, di come si accetti la vita e la morte nelle cose belle e nelle brutte”.

Un sogno che avrebbe potuto realizzarsi solo se gli uomini, davvero, avessero dato ascolto alla voce del Signore. In tal senso, Francesco non istituì gerarchie di merito a partire dal sesso o dallo stato di vita: egli non credeva affatto che, per sua natura, un uomo fosse migliore di una donna o che un sacerdote – al quale si doveva pur sempre obbedienza e rispetto, a motivo del suo Ordine – fosse migliore di un laico; per lui ciò che contava veramente era “fare penitenza”, cioè convertirsi sul serio, perché non c’era altro modo per potersi salvare.

Chierici o laici, religiosi o sposati, ricchi o poveri, uomini o donne potevano salvarsi solo se obbedivano all’invito del Signore: “Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,15).

È quanto si afferma in quel bellissimo rendimento di grazie che è il capitolo XXIII della Regola non bollata: “E tutti coloro che vogliono servire al Signore Iddio nella santa Chiesa cattolica e apostolica, e tutti i seguenti ordini: sacerdoti, diaconi, suddiaconi, accoliti, esorcisti, lettori, ostiari, e tutti i chierici, e tutti i religiosi e le religiose, tutti i conversi e i fanciulli, i poveri e i miseri, i re e i principi, i lavoratori e i contadini, i servi e i padroni, tutte le vergini e le continenti e le maritate, i laici, uomini e donne […] umilmente preghiamo e supplichiamo perché perseveriamo nella vera fede e nella penitenza, poiché nessuno può salvarsi in altro modo”.

Il sogno di Francesco, in definitiva, quel che contava davvero per lui, era che ogni uomo si sforzasse davvero di “essere nuova creatura” (Gal 6,15). In tal modo, egli superò il proprio tempo.

Poiché l’attualità del Vangelo è perenne e chi trae da esso i propri criteri di valore e di giudizio sa cogliere il nocciolo delle cose e produrre sogni sempre nuovi.

Felice Accrocca

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