Il presepe di Greccio: tre dipinti, un'unica tradizione
SAN FRANCESCO FECE IL PRIMO PRESEPE 790 ANNI FA E DA ALLORA E' TRADIZIONE NON SOLO POPOLARE, MA ANCHE ARTISTICA
Dagli albori della storia dell’arte cristiana
il tema della Natività è stato
sempre presente, seppure in forme
diverse. Le raffi gurazioni primitive di
questo tema si limitavano però ad
essere semplici sacre rappresentazioni.
Un atteggiamento che si è perpetrato nei decenni fi no al 1223,
l’anno in cui Francesco d’Assisi, durante
la notte di Natale a Greccio,
nella provincia di Rieti, volle rievocare
la nascita di Gesù organizzando
la prima rappresentazione vivente
dell’evento, con l’approvazione del
pontefi ce Onorio III.
Le agiografi e raccontano che durante
la Santa Messa nella culla sarebbe
apparso il bambino Gesù in carne
e ossa e che Francesco lo prese in
braccio. È da questo momento probabilmente
che una forma differente
di rappresentazione di uno dei momenti
di maggiore signifi cato e profondo
raccoglimento del cristianesi mo, si è fatta strada nella tradizione
popolare, religiosa e infi ne artistica.
L’evento legato al Santo d’Assisi e
raccontato nelle Fonti Francescane,
ha fi nito per destare un interesse
nuovo negli artisti e nelle commissioni,
un nuovo stilema rappresentativo,
che come vedremo, si è intessuto
in una rete di elementi simili,
non solo legati alla narrazione delle
fonti.
La più antica delle rappresentazioni
che si è voluta prendere qui in
esame è quella notissima di Giotto
(1295-1299), nella Basilica superiore superiore
di san Francesco ad Assisi. Quel
realismo che permea l’intero ciclo
artistico e che ha caratterizzato poi
i successivi studi d’arte di tutta Europa
è qui particolarmente forte. La
stalla di Greccio, dove sarebbe avvenuta
la rappresentazione vivente, lascia
spazio all’interno di una basilica
romana, la scena avviene tra la parete
di un coro e i gradini di un altare, il
tutto narrato con incredibile minuzia
e vivace descrittività.
La rappresentazione è affollata,
strette nella porta le donne alle quali
è vietata l’entrata, mentre tra i personaggi
all’interno, oltre ai frati posti
più in alto rispetto agli altri perché
in piedi sugli stalli del coro, ci sono
diversi laici che dagli abiti indossati
fanno riconoscere le magistrature
civiche.
San Francesco, in abiti da diacono,
tiene amorevolmente in braccio il
Bambino Gesù. Il naturalismo dell’odell’opera
– già sottolineato dalle espressioni
variegate dei personaggi come
anche le bocche dei frati spalancante
nel canto mentre seguono il
badalone centrale – è nuovamente
ribadito dalla grande croce sopra il
tramezzo che separa la navata del
coro, uno dei brani più celebri della
pittura medievale: la croce, vista da
dietro con la manifattura in evidenza,
è legata ad una corda e un cavalletto
che consentiva di inclinarla verso la
navata e favorire la visione da parte
del pubblico.
Chiaramente ispirato al dipinto giottesco
è quello del cosiddetto Maestro di Narni (1409), posto appena
sopra la piccola grotta del santuario
di Greccio dove secondo tradizione
si ebbe la rievocazione della Natività.
Molti gli elementi in comune,
nonostante il divario qualitativo e la
distanza di anni che separa i due dipinti.
Anche questa raffi gurazione è
affollata, ritorna la porta dove è accalcata la popolazione incuriosita e
l’abito da diacono di san Francesco,
particolare tratto dalle Fonti Francescane.
Da notare anche la veste del
personaggio in primo piano a Greccio
che risulta essere una commistione
tra le vesti dei tre personaggi
che sono in primo piano ad Assisi (il
cappello del primo a destra e i colori dei due posti più a sinistra).
Anche a Montefalco, nella chiesa di
San Francesco nel ciclo di affreschi
di Benozzo Gozzoli (1450-1452) si era
scelto di rappresentare i momenti
più importanti della vita di Francesco
in diciannove episodi.
Anche qui
compare Greccio. San Francesco è
posto in uno spazio incorniciato da
un ampio arco semi ogivale, all’interno
di una chiesa caratterizzata da
due stili architettonici tipici di epoche
differenti: da una parte le fi nestre
traforate e gli archi a sesto acuto,
che ricordano le antiche chiese gotiche
e, dall’altra, le paraste scanalate,
trabeazioni in marmo e fi nestre circolari,
di chiara ascendenza rinasci rinascimentale.
Compaiono nuovamente i
frati accanto al badalone, il canto è
un elemento sottolineato dalle stesstesse
fonti.
Variegati i personaggi anche in questo
caso. Benozzo Gozzoli si prende
la piccola licenza di far notare solo
al bambino posto sulla sinistra e al
religioso sull’altare l’evento miracoloso
della comparsa del Re Povero,
teneramente abbracciato dal Santo,
cogliendo un momento ben preciso
della scena.
Ma al di là delle assonanze estetiche
e oggettive che le diverse rappresentazioni
sembrano portare con
sé, da notare c’è quella consistente
intimità, quell’affetto di Francesco
verso la fi gura di Gesù, considerato
il Maestro da imitare, il Padre da ascoltare.
C’è in tutte le opere prese in esame
una necessità forte di comunicare la
profondissima umanità di Francesco
esplicata in quell’abbraccio sentito
con Gesù; di spiegare un francescanesimo
puro, proteso all’amore
universale in Dio. Le tipologie umane
e le raffi natezze narrative delle
opere sottolineano la dimensione
reale dell’accaduto, dove il miracolo
diviene evento terreno su cui poter
confi dare.
Ed è così che nella tradizione natalizia,
così profondamente radicata, si
compie la rievocazione di un evento
vissuto e non semplicemente narrato,
attraverso il Presepe che assume
una dimensione spirituale altra, oltre
alla semplice raffi gurazione divina.
Luisa Benevieri
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