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Sla, la scelta di Dino: Ha chiesto di morire facendosi addormentare. Cosa ne pensate?

Redazione online Ansa
Pubblicato il 30-11--0001

Montebelluna, primo caso di «sedazione profonda»

Non ha chiesto l’interruzione delle cure e dell’alimentazione forzata, a suo tempo invocata da Piergiorgio Welby, da Max Fanelli anche in una lettera alla presidente della Camera Laura Boldrini, e dal trevigiano Paolo Ravasin. Dino Bettamin, macellaio di Montebelluna che avrebbe compiuto 71 anni il primo marzo, ha lottato fino all’ultimo contro la Sla. Dalla terribile diagnosi appresa nel 2012 non si è mai arreso, nemmeno quando, due anni fa, era stato dimesso dall’ospedale come malato terminale. Pesava 38 chili. Ma si è tirato su le maniche.

Dopo la tracheostomia ha reimparato a parlare e a mangiare, rimettendo su peso fino a 62 chili; quando le gambe e la schiena non l’hanno più retto ha continuato a uscire con la moglie Maria, ad andare al bar con gli amici, ai mercatini di Natale e al mare insieme ai figli e ai tre nipotini usando respiratore e carrozzina. Dotata pure di un «posto passeggeri», riservato alla sua bella barboncina bianca. Ma il 5 febbraio si è reso conto che stava crollando, anche psicologicamente. Non aveva più forze, la vita lo stava abbandonando. E ha detto all’équipe di infermieri che da due anni lo assisteva a casa giorno e notte: «Voglio dormire fino alla morte ». Lo ha ripetuto qualche ora più tardi alla moglie, ai figli Tommaso e Agnese, al medico delle cure palliative e alla Guardia medica: «Fatemi dormire fino alla fine».



E’ stato esaudito. Ha dormito fino a ieri pomeriggio alle 16.15, quando è volato via per sempre. Il suo è il primo caso di «sedazione profonda» somministrata a un malato di Sla. «Di solito vi si ricorre per i pazienti oncologici terminali — spiega Anna Tabarin, l’infermiera che insieme al collega Santo Tavana era l’angelo custode di Dino — la condizione per il mantenimento dello stato di sonno è l’esistenza di un sintomo refrattario, cioè non trattabile se non in questo modo. Parametro presente nel quadro clinico di Bettamin: soffriva di uno stato di angoscia non più gestibile. Sapeva che non sarebbe arrivato a primavera e ai parenti abbiamo detto: ha vissuto gli ultimi due anni da leone, ora lasciatelo andare, se vuole così. E loro hanno capito». La sera del 5 febbraio la Guardia medica ha aumentato il dosaggio del sedativo che già Dino prendeva per flebo e il giorno successivo la dottoressa dell’assistenza domiciliare ha iniziato a somministrare gli altri farmaci del protocollo.

«Lui non ci ha mai chiesto di spegnere il respiratore, nonostante la legge lo consenta nei casi di sedazione profonda — spiega Anna — anzi, lo terrorizzava l’ipotesi di morire soffocato. Ha optato per una scelta in linea con la legge, la bioetica e la sua grande fede: il sacerdote veniva a trovarlo e a impartirgli l’eucarestia almeno una volta a settimana. Ha avuto qualche breve risveglio durante il quale ci comunicava, sbattendo le palpebre, se avesse male». L’ultimo l’ha riservato ieri mattina alla moglie, alla quale aveva chiesto di sbrigare per lui le ultime faccende lasciate in sospeso.

Quando lei lo ha rassicurato: «Ho fatto tutto quello che mi hai chiesto», Dino si è lasciato andare. Qualche ora dopo ha smesso di respirare e allora Santo, che due anni fa l’aveva portato a casa dall’ospedale assistendolo poi tutti i giorni, ha staccato la ventilazione assistita. «Nonostante le gravi crisi respiratorie, ha vissuto con dignità fino al 6 gennaio, giorno della sua ultima cioccolata calda bevuta ad Asolo con i familiari — chiude Anna —. Poi la stanchezza e la depressione l’hanno sopraffatto e ha iniziato a contrastare le macchine. Da lì la sua richiesta ». Prima di andarsene Dino ha affidato la moglie ai suoi angeli e ha concordato con lei un lascito per un seminario sul fine vita, che organizzerà l’Università di Padova. Sarà un evento internazionale e racconterà la storia di Dino, «scricciolo di ferro». (Corriere del Veneto)

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