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Quando Papa Francesco chiese a don Ciotti appunti sulla mafia

Domenico Agasso JR
Pubblicato il 30-11--0001

gli ho domandato invece se se la sentisse di incontrare un migliaio di familiari delle vittime della violenza criminale mafiosa. Lui mi ha interrotto con un’unica parola: “Vengo!”

Sono passati più di due anni, eppure don Luigi Ciotti, fondatore di Libera e del Gruppo Abele, continua a essere meravigliato da quella richiesta del Pontefice: «A un certo punto mi ha detto: “Non conosco bene il problema mafia; ti chiederei di mandarmi degli appunti”. A me! Che sono piccolo piccolo! Se mia madre fosse viva non crederebbe che il Pontefice mi ha chiesto “gli appunti”!». Lo racconta a Torino alla presentazione del libro «Il vocabolario di papa Francesco» curato da don Antonio Carriero (Elledici, 2015), ripercorrendo la preparazione dell’incontro nella parrocchia romana di San Gregorio VII nella «Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie» del 21 marzo 2014. «Quella richiesta dimostra tutta la straordinaria umiltà di Jorge Mario Bergoglio». 



«Nel nostro primo incontro a Casa Santa Marta - svela - gli ho portato un caffè tostato piemontese: l’avevo preso da un mio amico titolare di un bar in via Pietro Micca a Torino, il bar Beccuti. Quattro giorni dopo sarei ripassato nel bar, e il mio amico mi confida entusiasta: “Il Papa mi ha scritto!”. Francesco aveva preso la targhetta del pacchetto di caffè, aveva letto l’indirizzo della torrefazione, aveva scritto a mano un ringraziamento e l’aveva mandato».



Tornando alla loro prima conversazione, che si è svolta in un clima di «straordinaria semplicità», don Ciotti rivela: «Il Papa mi ha chiesto: “Chi ti ha ordinato sacerdote?”; prima avevamo parlato di altri vescovi, e lui era un po’ cupo, ma quando ha risposto alla sua domanda – il cardinale Michele Pellegrino – il suo volto si è illuminato!». Ecco perché: «”Sai una cosa – mi ha spiegato - quando i miei nonni si sono trovati in grave difficoltà, a dare loro una mano è stato un giovane prete di nome Pellegrino”». Don Ciotti a questo punto afferma: «Questo episodio mi ha dato un’ulteriore certezza: la storia della Chiesa che guarda avanti vede il protagonismo di tre piemontesi: Pellegrino, il cardinale Carlo Maria Martini, e Papa Bergoglio».



«Io – prosegue – gli ho domandato invece se se la sentisse di incontrare un migliaio di familiari delle vittime della violenza criminale mafiosa, che rappresentano altre migliaia di persone. Lui mi ha interrotto con un’unica parola: “Vengo!”». Il fondatore di Libera allora lo ha avvertito: «Non ci saranno solo cattolici. Lui ha risposto: “Che bello!”». 



Tutti e due hanno ritenuto di organizzare l’incontro «fuori dal Vaticano, per essere più liberi di gestirlo».

Ecco poi la domanda che più ha «colpito» don Ciotti: «“Non conosco bene il problema della mafia; ti chiederei di mandarmi degli appunti”. A me, che sono piccolo piccolo! Se mia madre fosse viva non crederebbe che il Pontefice mi ha chiesto “gli appunti”. È straordinaria l’umiltà di questo Pontefice!». 



Don Ciotti glieli manderà, quegli appunti. E così papa Francesco «arriverà preparatissimo all’incontro del 21 marzo 2014. Ai familiari delle vittime innocenti delle mafie dimostrerà sensibilità, affetto, attenzione». Poi, «il colpo di scena: lì davanti aveva circa 1200 persone a cui avevano strappato con violenza i familiari, e lui, guardandoli, ha detto loro: “Voglio parlare ai grandi assenti, agli uomini della mafia”. Ci vuole coraggio!». 



Dirà ai mafiosi: «Il vostro potere è insanguinato, per favore, ve lo chiedo in ginocchio, convertitevi e non fate più il male». Sottolinea don Ciotti: «Ha compiuto dei segni, come sempre, saldando le parole ai segni. Il segno in quella occasione è stato invocare “convertitevi e cambiate” chiedendolo “in ginocchio”». A don Ciotti è «balzato subito in mente il beato papa Paolo VI quando scrisse alle “Brigate rosse”: “Vi chiedo in ginocchio di restituire Aldo Moro alla libertà”».



Don Ciotti evidenzia che in papa Francesco ha «trovato un padre ma anche un fratello attento, che chiede “come stai”, con cui ci si confida, con cui si vivono incontri non formali. Una persona di straordinaria forza comunicativa, col suo tono che non poggia sull’abilità retorica, ma sulla credibilità, sulla coerenza tra la parola e la vita». 

Il Vescovo di Roma è «disinteressato alle forme e ai simboli del potere quanto sensibile alle ingiustizie e alle violenze che a causa del potere vengono commesse su gran parte dell’umanità. Su questo punto il Papa non fa sconti, a nessuno, a cominciare dai potenti. Chiama il male per nome e richiama chi lo commette – e chi omette di denunciarlo – alle sue responsabilità». 



 

Inoltre «ci ricorda che le parole sono azioni e dunque sono responsabilità. Non si deve parlare a sproposito, non si deve parlare ferendo l’altrui sensibilità, non si deve parlare dicendo il falso o omettendo il vero». E per «contrastare il degrado della parola – che è degrado delle relazioni e delle vite – il Papa ci invita, come a suo tempo don Giuseppe (Peppe) Diana, a “pronunciare parole di vita”. Parole di vita sono quelle che scaturiscono dagli incontri, dalle esperienze, dagli stupori, dai dubbi e dalle ferite. Parole che testimoniamo di una ricerca, di un percorso, di un cammino che arricchisce il sapere e gli impedisce di essere sterile, astratto, ignaro dei bisogni e delle speranze delle persone». 



Francesco, in particolare con l’Anno santo straordinario della misericordia, «ci invita a riflettere, a comprendere, a ricordare la nostra piccolezza di fronte alla complessità e al mistero della vita. Ci chiede di non essere giudici ma giusti».



Don Ciotti ha da sempre un rapporto particolare con i giovani, con i quali «il Papa parla da grande educatore. Alimenta nei ragazzi quel desiderio di autenticità che è presente in ognuno di loro ma che rischia oggi di essere mortificato. Dice questo col suo invito ad andare controcorrente. “Seguite la vostra diversità, la vostra autenticità! Rifiutate le scorciatoie, i risultati facili, scegliete le vie della passione e dell’impegno, che sono anche quelle della libertà e della vita vera!”». Andare controcorrente «significa allora essere eretici rispetto alla supremazia del mercato, al “paradigma tecnocratico” di cui parla il Papa nell’enciclica Laudato si’». 



Per don Ciotti «oggi è eretico chi mette la propria libertà al servizio degli altri, chi impegna la propria libertà per liberare chi ancora libero non è. Chi non si accontenta dei saperi di seconda mano, chi studia, chi approfondisce, chi si mette in gioco in quello che fa, chi crede che solo nel “noi” l’io possa trovare una realizzazione. Chi si ribella al sonno delle coscienze, chi non si rassegna alle ingiustizie, chi non pensa che la povertà sia una fatalità. Chi non cede alla tentazione del cinismo e dell’indifferenza, le malattie spirituali della nostra epoca».  (Vatican Insider)

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