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Il direttore dei record, Mauro Felicori, sabato al Cortile di Francesco

Redazione online
Pubblicato il 21-09-2018

Mauro Felicori è il direttore generale della Reggia di Caserta dal 2015. Insediatosi in seguito al concorso previsto dalla cosiddetta “riforma Franceschini”, in tre anni ha raddoppiato il numero di visitatori del palazzo vanvitelliano simbolo della dinastia borbonica.

A fine ottobre dovrà forzatamente andare in pensione per raggiunti limiti di età, 14 mesi in anticipo rispetto alla scadenza del suo mandato. Sabato, ad Assisi, terrà due conferenze al Cortile di Francesco, dal titolo: Quale professione per i beni culturali? E Lo Stato dell’Arte.


Quale bilancio di questi tre anni?

Vado fiero di una straordinaria comunicazione, che deve essere precisa e onesta. Quando c’è un problema, devi essere tu il primo a dirlo, per non dare l’idea che lo stai nascondendo. Se devo comunicare qualcosa di positivo, lo rinvio al giorno dopo.

Questo era un monumento dimenticato, abbandonato e mal gestito da 20 anni: non se ne parlava, o se ne parlava male. Con l’effetto che i visitatori erano poco più di 400mila. Ne abbiamo rispolverato l’immagine, con risultati straordinari: quest’anno supereremo i 900mila.

La reggia era abituata a stare da sola. Abbiamo puntato su un turismo più colto, più lento, meno mordi e fuggi. Un turismo che si gode il territorio, i suoi cibi, i suoi vini, il suo paesaggio. Abbiamo cercato di estendere una rete di alleanze: non il singolo monumento, ma il grande monumento, l’eccellenza, che poggia in un territorio ricchissimo.

Ho fatto anche molta politica per il personale: motivazione e fiducia, piuttosto che rassegnazione. Poche chiacchiere, guardiamo ai risultati. Non è stato facile, considerando anche che la maggior parte dei dipendenti è vicina ai 60 anni…

A proposito di motivazione: il ministero degli esteri ha bandito un concorso per promotori culturali. Quarantaquattro posti per 15mila iscritti alla prima prova. Cosa direbbe a un giovane che davanti a queste cifre si scoraggia?

I giovani devono ricominciare a fare le battaglie. La mia, in questi anni, è stata quella per i beni culturali: una risorsa per creare lavoro, non un costo agganciato a una spesa pubblica che è una chimera, non una speranza.

Vorrei che i musei avessero più autonomia di spesa per la gestione del personale: con l’aumento delle entrate che ho generato, potrei assumere 30 persone domani mattina. E se tutti i musei potessero fare così - non dico tutti i 15mila - ma diverse centinaia di giovani potrebbero essere assunte. Non grazie alla spesa pubblica, ma grazie all’aumento delle risorse che produciamo sui territori. Farei questa battaglia se oggi avessi 20 anni.

Introdurrebbe i biglietti a pagamento nella chiese? Come si fa a mangiare con la cultura?

Abbiamo accettato insensatamente che tutti i musei perdano soldi. Dove sta scritto? E poi il fatto che la cultura possa essere in deficit non è una buona ragione perché si possa essere inefficienti. Sanità e scuola sono giustamente un costo per la società. Ma si può essere in deficit ed allo stesso tempo efficienti. Abbiamo accettato un’idea sbagliata: la cultura può generare ricchezza.

Io penso che la chiesa, l'ente spirituale per eccellenza, dovrebbe assumere un atteggiamento per ogni fedele ci sono cento turisti. Chiese del genere hanno perso la loro funzione: quale messa si può fare in uno spazio turistico? Non solo la chiesa dovrebbe fare pagare il biglietto, ma dovrebbe prendere atto del fatto che alcune chiese sono dei musei. Mi lasci esagerare: nelle più frequentate io cesserei persino di dire messa.

Assisi è un caso a parte, la capitale di una storia: chi viene per Giotto viene anche per san Francesco. Qui non si può privare i fedeli della possibilità di pregare in basilica. Ma a Firenze o a Venezia il fedele è già relegato: c’è un corridoio che lo porta in una cappella, normalmente la più brutta della chiesa. E lì viene proibito ai turisti di andare.

 

Crollano i ponti e crollano le chiese, come quella di san Giuseppe ai Falegnami, nel centro di Roma, meno di tre settimane fa.

Anche la manutenzione è dentro questo discorso della cultura come risorsa. Grazie ai milioni di euro che incassiamo col raddoppio dei visitatori, a Caserta abbiamo cominciato a fare una manutenzione che non si faceva da anni. E’ il risultato di un processo di efficienza: tutela e valorizzazione – come a torto sostiene qualcuno - non sono in opposizione, la valorizzazione, anche economica, è la condizione per la tutela.

Sono forse l’unico direttore che non piange per i soldi, ne ho tanti che faccio fatica a spenderli. Tuttavia, i limiti della riforma dei musei mi impediscono di spenderne di più e di assumere le persone.

Il governo vuole imporre la chiusura dei negozi la domenica e i festivi entro la fine del 2018. Secondo lei i musei dovrebbero restare aperti la domenica? Dove dovrebbero andare le famiglie italiane nel giorno di riposo?

Il nostro scopo è quello di fare conoscere la cultura a tutti e le persone normali durante la settimana o vanno a scuola o vanno a lavorare. Come farlo se i musei restano chiusi la domenica?

Alcune persone considerano la visita al centro commerciale come massima forma di piacere. E anche io la domenica mattina faccio la spesa: è un momento bellissimo, una routine sentimentale.

Non colpevolizzo chi gode dei consumi immerso in questi immensi ammassi di merci che sono i centri commerciali. Certamente, però, noi dobbiamo fare sì che la cultura diventi un piacere. Lo stile da professorini che hanno certi musei certo non aiuta. Fanno sentire i visitatori a disagio, li umiliano. In un museo ci deve essere una chiara semplicità.

Quando entra a san Francesco e si immerge negli affreschi di Giotto, cosa pensa?

Non sono un fedele, ma un grande frequentatore di chiese: entro, ci sto una mezzoretta, mi piace assaporare il senso di spiritualità e dell’ultramondano. Il senso dell’ultraterreno appartiene a tutte le culture. Io preferisco le chiese ai palazzi, i luoghi dello spirito rispetto al luoghi laici. Li frequento con regolarità, li consiglio, penso che facciano bene.

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