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Giovanni Paolo II e la conversione ecologica

Antonio Tarallo Ansa - CARLO FERRARO/ARCHIVIO
Pubblicato il 20-07-2018

E’ cosa nota il rapporto di Giovanni Paolo II e la Natura, l’Ambiente, il Creato.  Sono, nell’immaginario collettivo, le sequenze, viste più volte, del Papa immerso nel verde. Il bastone come appoggio, il cappello bianco e quello sguardo perso nella contemplazione dell’Infinito.  L’uomo Karol ha da sempre vissuto questa “simbiosi” con la Natura, da quando era semplice sacerdote in Polonia. Come Pontefice più volte ha espresso la sua attenzione all’argomento dell’Ambiente, e lo ha fatto in diverse occasioni. Ufficiali e non ufficiali. In questo excursus sui pontefici e la Natura – che stiamo compiendo da giorni – è interessante passare in rassegna le parole che il papa polacco ha avuto modo di riservare su questo argomento che – grazie a Papa Francesco con la sua Enciclica Laudato si’ – sta sempre più interessando non solo l’opinione pubblica, ma “gli addetti ai lavoratori” per poter prendere responsabilmente decisioni a favore di una miglior rapporto tra Uomo e Ambiente. La selezione non è stata facile, bisogna ammetterlo, visto il suo lungo pontificato.



Non possiamo, allora, non cominciare da uno dei suoi viaggi escursionistici.  Era il 12 luglio 1987, quando in Val Visende così rifletteva, con sempre poetica espressione:

“Davanti a questo panorama di prati, di boschi, di torrenti, di cime svettanti noi ritroviamo il desiderio di ringraziare Dio per le meraviglie delle sue opere. Vogliamo ascoltare in silenzio la voce della natura al fine di trasformare in preghiera la nostra ammirazione. Queste montagne, infatti, suscitano nel cuore il senso dell’infinito, con il desiderio di sollevare la mente verso ciò che è sublime. Queste meraviglie le ha create lo stesso autore della bellezza.”.



In un discorso tenuto nel 1997 al Convegno su “Ambiente e Salute”, organizzato dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, il Pontefice espresse questa considerazione.

“L’equilibrio dell’ecosistema e la difesa della salubrità dell’ambiente hanno bisogno proprio della responsabilità dell’uomo e di una responsabilità che deve essere aperta alle nuove forme di solidarietà. Occorre una solidarietà aperta e comprensiva verso tutti gli uomini e tutti i popoli, una solidarietà fondata sul rispetto della vita e sulla promozione di risorse sufficienti per i più poveri e per le generazioni future”.



Tema che oggigiorno si fa sempre più impellente. Giovanni Paolo II, con lungimirante visione, parla di “nuove forme di solidarietà”. E, ancora più avanti:

“L’umanità di oggi se riuscirà a congiungere le nuove capacità scientifiche con una forte dimensione etica, sarà certamente in grado di promuovere l’ambiente come casa e come risorsa a favore dell’uomo e di tutti gli uomini, sarà in grado di eliminare i fattori d’inquinamento, di assicurare condizioni di igiene e di salute adeguate per piccoli gruppi come per vasti insediamenti umani. La tecnologia che inquina può anche disinquinare, la produzione che accumula può distribuire equamente, a condizione che prevalga l’etica del rispetto per la vita e la dignità dell’uomo, per i diritti delle generazioni umane presenti e di quelle che verranno”.



E’ ben evidente, in questo passaggio, il tema delle nuove conquiste della scienza che – se nell’etica, e quindi nel rispetto della vita e dignità dell’Uomo – hanno un potenziale di conservazione dell’ambiente, e non di distruzione e inquinamento. In fondo, è sottinteso, un più ampio discorso che la nostra epoca post-moderna ci sta ponendo: il progresso (in tutte le sue eccezioni) sta divenendo verso progresso (andare avanti) o sta semplicemente regredendo l’Uomo a qualcosa di incontrollato e pericoloso? Una piccola battuta, forse bisognerebbe rileggere il famoso libro della scrittrice Mary Shelley, “Frankestein”… E’ facile farsi affascinare da qualcosa che non ha più, dentro di sé, la “scintilla” di Dio. Ed è così che Giovanni Paolo II, quasi con tono di “rimprovero” e di timore, si esprimeva nella sua visita a Lorenzago, 11 luglio 1996:

“L’uomo contemporaneo, quando si lascia affascinare da falsi miti, perde di vista le ricchezze e le speranze di vita racchiuse nel creato, mirabile dono della Provvidenza divina per l’intera umanità.”



La riflessione si fa più puntuale se ci volgiamo ai documenti di maggior peso. E’ il 1987, anno della Sollicitudo Rei Socialis – la seconda delle tre grandi “encicliche sociali” –  egli annoverava tra i segnali positivi del presente “la maggior consapevolezza dei limiti delle risorsedisponibili, la necessità di rispettarne l’integrità e i ritmi dellanatura e di tenerne conto nella programmazione dello sviluppo”. Ma sottolineava l’esigenza di un’attenzione per la realtà di un mondo che è “sistema ordinato”: “Il dominio accordatodal Creatore all’uomo (cf. Gen. 1, 26) non è un potere assoluto,né si può parlare di libertà di ‘usare e abusare’: nei confrontidella natura siamo sottomessi a leggi non solo biologiche,ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire”.

 



Nell’udienza del 18 gennaio 2001, arriverà a parlare di una vera e propria “conversione ecologica”, necessaria per evitare il baratroverso la quale l’umanità si sta incamminando, “in un mondo sempre più interdipendente la pace, la giustizia e la salvaguardia del creato non possono che essere frutto dell’impegno solidale di tutti nel perseguire insieme il bene comune” (Angelus del 25 agosto 2002).

L’unica via possibile, ancora una volta, è quella del bene comune, della solidarietà. Questa unica fonte vera di “pace, giustizia, salvaguardia del creato”.


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