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Arte in Basilica, una segreta preghiera

Elvio Lunghi Archivio Fotografico - Panini
Pubblicato il 15-05-2018

Non ricordo la data - non ricordo mai i numeri - però ricordo a grandi linee le parole che mi disse un giorno Sergio Fusetti, stando all'interno della cappella della Maddalena. «Abbiamo trovato un affresco sotto uno scialbo in una cappella qui accanto: cosa ti pare?». «È il pittore della stanza a fianco», dico io. «Ma la stanza a fianco l'ha dipinta Giotto», replica Sergio. «E allora anche questo è di Giotto», rispondo. «Ci puoi scrivere qualcosa?», fa ancora Sergio. «Ci devo pensare».

Sono passati più di dieci anni e ci penso ancora. Non ho scritto più di una paginetta in una guida su Giotto e i pittori giotteschi in Assisi uscita nel 2012. Ne trascrivo il brano: Il dipinto è stato ritrovato nel 2005 nel corso di periodici lavori di manutenzione. È probabile che la decisione di coprire l’immagine con bianco di calce fosse presa in seguito ai danni dovuti a infiltrazioni d’acqua dal tetto e dalle pareti, che provocarono un esteso fenomeno di carbonatazione con la conseguente decoesione della pellicola pittorica e la parziale caduta dell’intonachino.

Nel quadro è riconoscibile il Cristo morto che emerge a braccia conserte dalla tomba – per la parziale caduta dell’intonaco è visibile l’arriccio con la sinopia -, quattro angeli in alto che tendono i lembi di un telo, san Francesco in basso in ginocchio ai piedi del sepolcro. L’immagine riunisce l’iconografia bizantina dell’Imago Pietatis con quella romana della Veronica, divenuta popolare in seguito all’Anno Santo del 1300. Gli angeli – la parte meglio conservata del dipinto – piangono a dirotto come gli angeli della Crocifissione o le madri nella Strage degli Innocenti nella cappella dell’Arena a Padova, delle quali condividono le maschere tragiche e i sentimenti ‘forti’.

Il legame con i tempi di Giotto a Padova è rafforzato dal collegamento con la cappella della Maddalena, che fa di questo caso il risultato di una attribuzione ambientale. Il velo portato dagli angeli in volo trasforma l’Imago Pietatis in una Morte alata: una immagine sublime, la più tragica dell’intera basilica di Assisi, nonostante la collocazione appartata che si addice ai toni bassi di una sepoltura apprestata sotto l’ammattonato del pavimento.

L'immagine di cui parlo si trova nella cappella del beato Valentino, un andito tra la cappella della Maddalena e quella di Sant'Antonio di Padova che prende il titolo dal beato Valentino da Narni, un francescano morto in odore di santità alla Carceri del monte Subasio l'anno 1378. La figura di Valentino - dipinta da Cola Petruccioli negli anni '80 del Trecento - compare sul pilastro di accesso di questa sorta di corridoio che passa dietro i contrafforti cilindrici e collega le cappelle costruite al tempo di Niccolò IV.

L'Imago pietatis fu dipinta dove è più fitta l'ombra, a sinistra della finestrella che dava luce al passaggio, sopra una nicchia che fu ritrovata nel 1985 in seguito alla scoperta di un ordigno rudimentale che era stato posto all’interno di un confessionale, tra la cappella della Maddalena e il transetto nord. Tolto il confessionale, sulla parete retrostante furono trovate due nicchie utilizzate in origine come armadi murari.

Per ragioni di sicurezza fu rimosso un secondo confessionale dalla cappella del beato Valentino, dietro il quale fu trovata una nicchia protetta da una grata e tutta dipinta all'interno: ne feci conoscere i dipinti nel 1994. L'Imago pietatis alata sta proprio lì sopra e è stata ritrovata nel corso di un intervento di manutenzione dell'ambiente. In precedenza non si vedeva nulla, salvo una macchia di umidità sulla parete. Anche oggi non è che si veda molto, per i danni provocati dalle infiltrazioni piovane del passato. Eppure l'immagine doveva essere bellissima in origine, con quella straordinaria invenzione della Veronica, il fazzoletto col quale è tradizione la Maddalena asciugasse il volto insaguinato del Cristo condotto al Calvario, portato in cielo da quattro angeli come se fosse una vela al vento, un lenzuolo steso ad asciugare al sole. La sindone di un uomo morto che risorge e ascende al cielo. Diventa il pane pasquale da mangiare con gli occhi.

Non riesco a spiegarmi perché non ho ancora dedicato uno studio «scientifico» a questo dipinto. Forse perché è rimasto poco. Forse perché mi si potrebbe obiettare che l'invenzione potrebbe essere sì di Giotto, ma l'esecuzione di uno stretto collaboratore. Ho già la risposta pronta, pescata dal Trecentonovelle di Franco Sacchetti: Giotto ha fatto il disegno e poi lo ha fatto colorare da un garzone di bottega. C'è anche una seconda ragione, più intima, quasi privata, che ha origine da un passo del Vangelo di Matteo (6. 1-6): Quando pregate, non siate simili agli ipocriti che amano pregare stando ritti nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, per essere visti dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa.

Tu invece, quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa, la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. Questa immagine è la preghiera segreta di un cristiano. Sono trascorsi così tanti secoli ma non lo voglio disturbare. Anche voi, se passate di qui, non fate rumore. Siano leggeri i vostri piedi.

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