La vita di san Francesco secondo Kazantzakis
Kazantzakis si mette sulle tracce di Francesco PAGINA 26 n altro Ulisse si aggira per la letteratura del
Novecento, e non è quello di Joyce, bensì il protagonista dell'imponente Odissea composta dal greco Nikos
Kazantzakis. Un poema in 33.333 versi, scansione non casuale considerato che il viaggio qui descritto è
destinato a ripetersi all'infinito, proprio come se fosse un numero periodico. L'Ulisse di Kazantzakis si muove
nello spazio e nel tempo, dialoga con Buddha e si accompagna a don Chisciotte. È una delle ultime, e di
sicuro la più radicale, tra le raffigurazioni dell' homo viator , il viandante che può sperare di trovare se stesso
solo perdendosi nel mondo. Ed è, quindi, un parente stretto di Francesco d'Assisi così come Kazantzakis
volle immaginarlo e raccontarlo in un romanzo apparso originariamente nel 1956 e già noto in Italia come Il
poverello di Dio .
A oltre vent'anni dall'ultima edizione, il libro torna ora da Crocetti - che ha in catalogo un
altro classico dell'autore, il celebre Zorba il greco - in una nuova traduzione e con il titolo di Francesco , forse
in indiretto omaggio a papa Bergoglio. Non si tratta, come lo stesso Kazantzakis ammette nelle breve nota
introduttiva, di una biografia condotta con rigore storico, ma di una rivisitazione molto personale: «Per me -
scrive - san Francesco è il modello dell'uomo militante che con una lotta incessante e durissima riesce a
compiere il dovere supremo dell'uomo, quello che è superiore anche alla morale, alla verità e alla bellezza:
trasformare la materia che Dio gli ha affidato rendendola spirito». La descrizione si adatta, in effetti, a tutti gli
eroi e antieroi che abitano la vasta produzione di questo scrittore nato a Creta nel 1883 e morto a Friburgo
nel 1957. Un intellettuale che fu a sua volta viaggiatore instancabile, indocile al principio di autorità,
curiosissimo di ogni spiritualità e cultura, come dimostra tra l'altro la sua traduzione della Commedia dantesca
in neogreco. La sua popolarità è legata principalmente a due romanzi, entrambi trasformati in film di successo
e solo in apparenza molto diversi l'uno dall'altro. Se Zorba il greco (che nel 1964 fu interpretato sul grande
schermo da Anthony Quinn) è una rivendicazione dell'antico orgoglio ellenico, capace di fiorire anche nelle
angustie della modernità, il discusso L'ultima tentazione di Cristo (da cui il film di Martin Scorsese: il libro è
disponibile da Frassinelli) descrive un percorso complementare, tutto compreso nel sogno in cui Gesù
immagina di scendere dalla Croce per vivere un'esistenza qualunque, umanissima eppure in qualche modo
divina. Sogna, insomma, la vita di Zorba, ma poi accetta di portare fino all'estremo il sacrificio di sé. Un
intreccio di temi che trova forse la sua espressione più matura nel terzo romanzo di Kazantzakis rivisitato dal
cinema e che Castelvecchi ha riproposto con il titolo, purtroppo fuorviante, di La seconda crocifissione di
Cristo . La trama è la stessa di Colui che deve morire , anno 1957, Jules Dassin alla regia: in un villaggio
sperduto la Sacra Rappresentazione del Venerdì Santo si trasforma in una Passione autentica, con la piena
immedesimazione degli attori improvvisati nei personaggi che sono chiamati a incarnare.
Quella di
Kazantzakis è una scrittura concreta e insieme visionaria, sempre pronta a surriscaldarsi e a trascolorare in
misticismo. Accade anche in Francesco , dove l'intera vicenda è narrata dalla voce di frate Leone, che del
Poverello risulta l'unico compagno fedele. O, meglio, il solo che non ne abbia tradito la vocazione sorgiva.
Emblematica, da questo punto di vista, la riduzione della nascita dell'Ordine francescano al conflitto con frate
Elia, mentre il rapporto con l'istituzione ecclesiastica si risolve nel dialogo con il vescovo d'Assisi, relegando
sullo sfondo il ruolo dei Papi. In questo modo la figura di Francesco assume i tratti di un Ulisse del
cristianesimo, guidato da una certezza interiore che lo porta a sfidare ogni sapere e ogni convenzione.
Spiccano, nel racconto, alcune belle invenzioni, tra cui quella del brigante Lupo che, dopo essere stato
ammansito da Francesco, prende il nome di frate Agnello. E restano nella mente del lettore molte pagine in
cui la parola ispirata del Poverello invita al distacco da ogni valore terreno. Nel pieno della tribolazione, per esempio, il Santo se ne esce con una canzone appena composta. «Ti sembra il momento?», gli chiede il
buon Leone. «Se non cantiamo adesso - risponde Francesco - quando canteremo?». di Alessio Zaccuri - Avvenire
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